Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

martedì 29 agosto 2023

Péguy, lo spirituale nel tempo.

Post di Gian Maria Zavattaro.
Immagini tratte da Turi Distefano dalla mostra "Storia di un'anima carnale" (Meeting di Rimini, 2014).
 
Turi Distefano, mostra su Péguy
150 anni dalla nascita di Pèguy. Mounier e Pèguy: continuità di una presenza e testimonianza.
 
150 anni fa nasceva Pèguy (P): il meeting di Rimini gli ha dedicato una splendida mostra. Ho scoperto P. alla fine degli anni 60 mentre preparavo la tesi di laurea su Mounier (M.), che lo considerò suo maestro e ispiratore. Rapporto ideale, spirituale (M. aveva 9 anni quando P. morì in guerra nel 1914), essenziale e decisivo di tutto l’orientamento del suo pensiero ed azione: continuità di una medesima ricerca e di un medesimo impegno che si esprime in entrambi nel vivo senso dell’incarnazione, della fedeltà al reale, nell’appello alla mistica contro tutte le politiche. P. fu socialista prima di essere cristiano. M. fu cristiano prima di essere “socialista”. Tuttavia queste anteriorità rimandano ad una presa di coscienza unica: il personalismo di M. si inserisce nella linea del realismo spirituale di P. Mi pare anche di notare continuità profonda tra “l’ottimismo tragico” di M. e il “pessimismo” (così definito da alcuni) di P. Nelle vacanze natalizie del 1928 il giovane M. riscopre e approfondisce P. Contemporaneamente prende atto della propria incompatibilità con la carriera accademica di cui condanna il sapere astratto avulso dalla realtà (1). Scrive alla sorella nel maggio del 29: “Io vorrei comunicarti questa ebbrezza che sento ancora rileggendo certe cose di P.).  
Turi Distefano, mostra su Péguy
L’esigenza di comunicare agli altri la sua “rivelazione” si accompagna con il dialogo incessante con il suo pensiero (2). In questo stato d’animo pubblica nel 1931, in collaborazione con il figlio di P, La Pensée de Ch. Péguy (3): “P. non è morto, è solo incompiuto” scrive nella prefazione e sottolinea come P. prediliga della filosofia “le parole giovinezza e libertà, un clima più che una dottrina”. Lo colpisce il suo “lirismo”: non sentimento vacuo, ma il suo modo di esprimere intuitivamente la ricchezza del reale; non incapacità di pensiero ma espressione della “generosità” categoria della persona. “Si evochi la maniera di P., la sua minuzia prodiga, la sua gioia di salvare nel suo paradiso straripante la minima sfumatura, il minimo oggetto, la minima parola” (4).
Il pessimismo di P., il suo realismo spirituale, la sua prospettiva religiosa troveranno rispondenza in M.: si tratta ovviamente della continuità di un atteggiamento, non di una filosofia, invece compiuta dal personalismo di M., pur nel totale superamento di un pensiero rimasto a livello di metodo e di atteggiamento “incompiuto”.Ugualmente si può dire della continuità tra i Cahiers di P. ed Esprit di M.: continuità di atteggiamento e di presenza che in M. si fa consapevole filosofia e teologia. 
Turi Distefano, mostra su Péguy
Proprio questo superamento e creazione sono la più alta forma di fedeltà al realismo spirituale di P., avendo comportato medesimo impegno di incarnazione, medesimo senso del dialogo e del pluralismo, praticati nelle loro riviste a volte in modo sconcertante per i contemporanei: dialogo delle mistica verso e avverso la politica, compresa quella clericale, perché anche la critica al mondo cristiano nasce dalla consapevolezza di una cristianità compromessa che non è il cristianesimo e dalla necessità di una incarnazione e di una rottura con il disordine stabilito. Naturalmente ci sono differenze nell’impegno e nello sguardo sul mondo moderno: M. è più rivolo verso l’avvenire con analisi precise e circostanziate, ragioni storico-economiche, chiari rimandi di struttura. Ma al di là delle diversità restano la continuità di una presenza e di una testimonianza, l’eredità di una visione “pessimista” del mondo moderno, la necessità di una rivoluzione morale e materiale, il medesimo superamento del pessimismo nel nome della speranza cristiana. Il tragico della nostra situazione non ci è nascosto, ma la fede ci insegna che la speranza è l’ultima significazione della nostra storia. Ottimismo tragico: così M. qualificherà la sua visione dell’uomo e della storia.
Da ultimo un cenno a tre temi di P.: il pessimismo - il realismo spirituale - la visione cristiana.
Turi Distefano, mostra su Péguy
Il pessimismo si muove in 2 direzioni: nasce dall’analisi negativa della prospettiva e struttura della società contemporanea; in secondo luogo si esprime nella sfiducia verso il socialismo in genere che non ha potere liberante, non ha carattere di salvezza. Alla base c’è un atto di presenza alla miseria che non è da confondersi con la povertà. “Si confonde quasi sempre la miseria con la povertà: questa confusione deriva dal fatto che la miseria e la povertà sono vicine; sono vicine senza dubbio, ma situate al di qua e al di là di un limite; e questo limite è appunto quello che divide l’economia nei riguardi della morale; questo limite economico è quello al di qua del quale la vita economica non è assicurata, al di là del quale la vita economica è assicurata; questo limite è quello da cui comincia la garanzia della vita economica […] tutto è miseria al di qua; miseria del dubbio o miseria della certezza misera” (5). Occorre viverla nella propria carne e sperimentare concretamente che cosa è “l’inferno economico” per poterlo liquidare. La miseria in ogni sua forma ha un’importanza “infinita e universale”: il suo superamento deve essere il compito primo ineliminabile della società. “Basta che un uomo solo sia scientemente lasciato nella miseria, perché tutto intero il patto civico sia nullo: finché c’è un uomo fuori, la porta che gli è chiusa in faccia chiude una città d’ingiustizia e odio” (6).
Turi Distefano, mostra su Péguy
Il realismo spirituale. Punto chiave è l’affermazione della presenza dello spirito nel mondo e che lo spirituale è esso stesso carnale: incarnazione temporale dell’eterno e dell’eterno nel temporale. Ne deriva la sfiducia verso i tentativi di salvezza allora operanti: in particolare l’impossibilità del socialismo di comprendere e salvare il reale. Si tratta di recuperare una dimensione sconosciuta al socialismo e al materialismo, che ignorano che spirituale e carnale sono unititi inscindibilmente. Non è sufficiente la rivoluzione economica: non c’è rivoluzione effettiva che nello spirito dell’uomo e “non si può rifare un ordine sociale umano se non lo si instaura nel cuore dell’uomo”. La rivoluzione è sì “liberazione della coscienza per mezzo di una migliore intesa economica” ma deve “scavare più a fondo nelle risorse non sfruttate della vita interiore (7). L’unico vero possibile socialismo dev’essere “una religione della povertà” che, per quanto debba incominciare dalla classe operaia e dal mondo propriamente economico, deve riscoprire i valori dello spirito.
Turi Distefano, mostra su Péguy
La visione cristiana. Dopo la conversione del 1908 l’unione dello spirituale con il carnale troverà la sua piena giustificazione nel mistero cristiano dell’incarnazione: garanzia ultima della realtà e del mondo. Nulla di più estraneo in P. del fideismo: è nel mistero dell’uomo che ha scoperto il mistero di Dio. In Omero (parla Clio, musa della storia che nella raccolta omonima P. invita a pronunciarsi sulla validità del mondo moderno e del cristianesimo) vi è un disprezzo latente degli dei, pur nella loro apparente esaltazione. Perché? Morire significa per Omero compiere il destino della propria vita. Agli dei manca questo coronamento, non rischiano né sperano di rischiare. Nel mondo antico, dice Clio, gli dei non sono “pieni”, l’uomo sì. A loro manca una “età breve un tempo monco”, manca la morte di Achille, essere colti nel fiore degli anni, morire incompiuti sul campo. Non hanno sorte. Non sono per nulla impegnati nella storia del mondo e non partecipano affatto ai problemi e alle angosce degli uomini. Ciò comporta la loro insignificanza per l’uomo, la loro negazione perché è solo nel mistero dell’uomo che scopriamo il mistero di Dio. Tutto ciò non vale per il cristianesimo: Dio si è fatto uomo nella povertà, “Dio stesso ha temuto la morte”. Di qui a la certezza che con la sua Incarnazione ha preso a carico integralmente la nostra condizione: conferma definitiva della saldatura tra eterno e temporale, constatazione che Dio e uomo sono impegnati insieme nel costruire un mondo che possa avere significato. 
Turi Distefano, mostra su Péguy
Il mistero dell’Incarnazione è così il punto di convergenza della storia: inserimento dell’eterno nel temporale, del soprannaturale nel carnale. Le nostre realtà acquisiscono valore nuovo, significato più profondo. L’incarnazione di Dio determina quella del cristiano, la sua presenza nel mondo. L’assunzione della miseria e della povertà trova conferma e giustificazione. La cristianità del suo tempo gli pare un tradimento nella prassi e nella teoria della esigenza dell’incarnazione. P. con la fede ha raggiunto il cristianesimo che non si identifica con la cristianità di un’epoca. La continuità cristiana è l’identità nel tempo dell’esperienza riferita agli insegnamenti del Vangelo che riguardano la vita quotidiana dove l’infimo e l’infinito trovano perfetta unione. L’eresia dei “chierici” è il disprezzo del temporale, che li rende ingiuriosi ed estranei al mistero della salvezza. L’angelismo teologico non è lontano dal materialismo, perché entrambi ignorano l’incarnazione dell’eterno nel temporale. Anche nel campo della prassi si assiste ad un parallelo tradimento: il borghesismo, l’alleanza con il denaro che manca profondamente di carità, una religione ridotta di borghesi e ricchi. Nulla di più contrario alla santità, alla povertà, allo spirito: mistica tramutata in politica. 
Turi Distefano, mostra su Péguy
La fedeltà alla mistica ritorna ad essere il motivo dominante: significa fedeltà al reale, ai propri compiti, inserire la cristianità nella storia. Il cristianesimo con tutte le sue limitazioni storiche è tra “particolarità aperta” e vocazione universale. C’è uno scandalo, un mistero su cui P. si è soffermato con angoscia: la non universalità di fatto del cristianesimo. La prima Clio (l’anima “pagana”) si meraviglia che Cristo sia venuto tardi nel mondo e l’umanità anteriore sia per così dire sfuggita. Adesso invece nasce un’umanità postcristiana, commenta Clio (l’anima “carnale”). Non è un fallimento della redenzione: tutti i secoli “sono secoli di Gesù”, ma questa verità di fede non è verità storica, bensì escatologica, promessa, non data. Il cristianesimo di fatto non regna sulla storia, non ha cambiato la faccia del mondo: vi è incarnazione, ma nell’umiltà, nel pieno rispetto della libertà degli uomini. Il carattere trascendente ed eterno del cristianesimo non gli permette di identificarsi in nessuna forza temporale, richiede di assumere quel carattere carnale che non lo renda estraneo alle contingenze della storia, ma intimamente partecipe della sorte degli uomini in tempi e spazi precisi.
Turi Distefano, mostra su Péguy
L’incessante ricerca del reale più essenziale a partire dal reale più apparente lo volge infine alla “poesia”, lo strumento più adatto per cogliere direttamente le grandi realtà del cristianesimo senza irrigidirlo in schemi coartanti, per penetrare nel cuore della realtà fondandosi sul mistero che altri negano o dissipano. Nelle sue ultime opere poetiche, dal Mistero della carità di S, Giovanna d’Arco (1910) al poema Eva (1913) intende ricapitolare tutta la storia umana. Il mistero dell’Incarnazione diventa il punto focale della storia: la cristianità è chiamata a realizzare il regno sin da ora nella storia della salvezza. Il cristiano è simboleggiato da Giovanna d’Arco: ella domanda che il cielo e la terra si uniscano, chiede a Dio santi che “riescano”, fustiga la “pazienza” del mondo cattolico di fronte alle ingiustizie e ai soprusi.
A Clio, principessa dello sfacelo e della morte, si oppone la speranza cristiana: “il fiore, il frutto, il gettito e il bocciolo della stessa eternità”. In piena libertà, nutrito di speranza, il cristiano si impegni a penetrare nel mistero dell’incarnazione consistente nell’inserirsi nel cuore dell’innesto del soprannaturale nel temporale. Assunzione che esige di fare “insieme il massimo di umano e, per così dire, il massimo di Dio” (8).
 
Note.
1. “Io credo che questa sia la cosa che manca di più a queste anime sicure di professori: l’accettazione del sacrificio e della prova. La nozione stessa, la nozione concreta della miseria umana come della sua vera grandezza: essi non conoscono l’ospedale se non attraverso la loro commissione d’igiene”. In Oeuvres, vol. 4, p.434, ed. du Seuil, 1962.
2. Nello stesso mese tiene una conferenza su P. Se sfogliamo l’indice analitico delle sue opere il nome d P. ritorna costantemente nella corrispondenza, nelle sue opere rivivono continuamente le sue citazioni, come costante punto di riferimento, una presenza amica e stimolante,
3. In collaborazione con G.Izaard e M. Pèguy, pubblicata nella collana ”le rosau d’or” diretta da Maritain. I temi trattati: il primato della mistica sulla politica, senza mai divenire concezione sacrale o clericale o spiritualistica; l’eterno affiora nell’evento temporale: l’impegno per la città per i più poveri, cfr. Pèguy: “dicono che amano Dio perché non amano nessuno, dicono di essere dalla parte di Dio perché non sonno dalla parte di nessuno”; lo spirituale non è fuori dal temporale ma al suo interno, al suo fondo.
4. E Mounier, Traité du caractère, in Oeuvres, op. cit. vol.2, p. 345.
5.Ch. Pèguy, De jean Coste, in oeuvres complétes, ed cit, vol. 2°, p. 572.
6. op.cit., p.576.
7.Ch, Péguy, Notre Jeunesse,citato in J. Roussel, Ch.Péguy, Borla , To,1965, p. 53.
8. Citato da J. Roussel, op. cit., p.123.
 
❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋
❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋❋
 
Segnaliamo alcuni altri post su Pèguy elaborati negli anni passati:

2 commenti:

  1. Grazie per questa preziosa disamina del pensiero di Peguy. Peguy, Mounier, Maritain... dovremmo continuare a dialogare con loro. Grazie ancora e buona domenica.

    RispondiElimina