Circa due
anni fa, iniziando con mia moglie l’avventura del blog, ho scoperto che, per
entrare in comunicazione in rete ed interagire su facebook, occorreva dare e
ricevere “amicizia”. Visto il valore ed il peso che le attribuivo e continuo ad
attribuirle - è nell'amicizia che i rapporti interumani si manifestano in tutta
la loro meravigliosa gratuità - a me profano è subito nato qualche
sospetto.
Mi erano infatti oscure ed equivoche - e lo sono tuttora - le implicanze psicologiche del dare-richiedere amicizia, le relazioni simmetriche implicite, le metacomunicazioni sottese, il valore simbolico ed il significato strategico o tattico da attribuire ai “mi piace” o addirittura la disinvolta ed ardita richiesta “metti mi piace”, i debiti od obblighi o condizionamenti reciproci che ne scaturiscono.
Forme inconsce o lucidamente consapevoli di una sorta di voto di scambio? Espressione invece di autentica solidarietà e condivisione? Oppure addirittura affermazione narcisistica del proprio esserci nel mondo virtuale?
L’amicizia
è, presumo per tutti, un’avventura impegnativa ed esclusiva: non si concede al
primo venuto, non è né semplice cameratismo né incontro al bar virtuale né
accordo su fini ed interessi comuni o su semplici modi di vedere né banale
scambio di opinioni gusti sensazioni emozioni, dove le persone scoprono solo un
lembo di se stessi. Non è neppure una forma di scaramanzia per uscire dal
proprio isolamento oppure pretesto per rendere invisibili agli altri le proprie
mire nascoste.
Ebbene facebook
è sicuramente anche queste cose (che non mi piacciono per niente) e non mi
interesserebbe più di tanto se non fosse anche altro.
Fino a due anni fa, nella
mia ignoranza pressoché totale della rete, pensavo all’amicizia come un
dischiudersi così profondo da esigere giocoforza per prima cosa l’incontro dei
volti, degli sguardi e delle voci. E perciò non poteva assolutamente avere
cittadinanza nella rete.
In parte sbagliavo, perché l’esperienza di questi mesi ha messo in forse le mie certezze e mi ha fatto ricredere, pur con molti distinguo e perplessità. La via principe, se non unica, dell’amicizia rimangono sicuramente l’hic et nunc spazio-temporale, le nostre vicissitudini esistenziali e soprattutto quel sesto senso impalpabile ed indefinibile che ti fa scegliere l’amico o l’amica.
Eppure in questi mesi ho incontrato in progressione tante persone, con le quali ho pattuito “amicizia secondo facebook”, con centrali e comuni respiri di ideali, sapori di valori, condivisi orizzonti: il tutto in un pervasivo atteggiamento di empatia, un sentimento forte di reciproca bene-volenza e sollecitudine.
Mia moglie ed io abbiamo
scoperto interessi comuni a tante persone apparentemente anonime, comuni
aperture ad ambiti di riflessione a noi cari, disponibilità a pensare e ad
approfondire, il gusto reciproco di ancora meravigliarsi ogni giorno, la
passione di una inquieta ricerca inconclusiva - senza cadere nell’astrattismo
accademico e nel patetico – che non è detto si trovino sempre nel proprio
ambiente e che si rendono possibili anche tra persone fisicamente lontane, ma
partecipi di una comunità ideale e spirituale.
E lì che si annida l’embrione di
quella che si può a buon diritto chiamare amicizia: come crescerà ed a quali
livelli si svilupperà non è dato sapere, ma è possibile che essa nasca e
cresca.
Insomma il valore dell’amicizia “virtuale”, anche se ancora tutto da scoprire, può volteggiare nella rete e lo si riconosce quando ti impone di uscire dalla prigionia del tuo io, quando supera la costrizione dei rapporti utili ed interessati per rivolgersi unicamente a quelli interessanti, quando (parlo per me) ti accorgi che è possibile liberarsi delle proprie maschere difensive e dei ruoli che sei costretto a recitare nel mondo dei cinque sensi, per riscoprire quello che sei e quello che sai di dover essere.
Certo ho ben presente i non pochi rischi ed i pericoli dell’ambivalente facebook, peraltro insiti in ogni vicenda umana: il raffinato egoismo velato da maschere altrettanto raffinate, il narcisismo che si vale del “mi piace” altrui come strumento di affermazione del sé, la mancanza dell’ombrello protettivo e della censura conseguente che la comunità visibile dei viventi assicura. Così come mi turbano la smodata popolarità dell’effimero, la frequentazione della cronaca pettegola e della banalità insulsa od il mettere in piazza parolacce e volgarità senza tanti problemi.
Non sono per nulla giovane, ma non abbastanza troglodita da non saper scorgere le infinite potenzialità che la rete offre a nuove forme di comunicazione ed anche persino a possibili autentiche amicizie, etsi non videntur. Senza mai illudersi che per comunicare basti “messaggiare”. Io posso stabilire infiniti contatti virtuali con l’altro e tuttavia, nel mio solipsismo narcisistico, non partecipargli un solo istante di vero dialogo con lui.
In parte sbagliavo, perché l’esperienza di questi mesi ha messo in forse le mie certezze e mi ha fatto ricredere, pur con molti distinguo e perplessità. La via principe, se non unica, dell’amicizia rimangono sicuramente l’hic et nunc spazio-temporale, le nostre vicissitudini esistenziali e soprattutto quel sesto senso impalpabile ed indefinibile che ti fa scegliere l’amico o l’amica.
Eppure in questi mesi ho incontrato in progressione tante persone, con le quali ho pattuito “amicizia secondo facebook”, con centrali e comuni respiri di ideali, sapori di valori, condivisi orizzonti: il tutto in un pervasivo atteggiamento di empatia, un sentimento forte di reciproca bene-volenza e sollecitudine.
Insomma il valore dell’amicizia “virtuale”, anche se ancora tutto da scoprire, può volteggiare nella rete e lo si riconosce quando ti impone di uscire dalla prigionia del tuo io, quando supera la costrizione dei rapporti utili ed interessati per rivolgersi unicamente a quelli interessanti, quando (parlo per me) ti accorgi che è possibile liberarsi delle proprie maschere difensive e dei ruoli che sei costretto a recitare nel mondo dei cinque sensi, per riscoprire quello che sei e quello che sai di dover essere.
Certo ho ben presente i non pochi rischi ed i pericoli dell’ambivalente facebook, peraltro insiti in ogni vicenda umana: il raffinato egoismo velato da maschere altrettanto raffinate, il narcisismo che si vale del “mi piace” altrui come strumento di affermazione del sé, la mancanza dell’ombrello protettivo e della censura conseguente che la comunità visibile dei viventi assicura. Così come mi turbano la smodata popolarità dell’effimero, la frequentazione della cronaca pettegola e della banalità insulsa od il mettere in piazza parolacce e volgarità senza tanti problemi.
Non sono per nulla giovane, ma non abbastanza troglodita da non saper scorgere le infinite potenzialità che la rete offre a nuove forme di comunicazione ed anche persino a possibili autentiche amicizie, etsi non videntur. Senza mai illudersi che per comunicare basti “messaggiare”. Io posso stabilire infiniti contatti virtuali con l’altro e tuttavia, nel mio solipsismo narcisistico, non partecipargli un solo istante di vero dialogo con lui.
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