"Persona e Comunità" è un blog di riflessione culturale, filosofica, religiosa, pedagogica, estetica. Tutti gli articoli sono scritti da: Gian Maria Zavattaro, Rossana Rolando, Rosario Grillo.
Ottorino Stefanini, Alla ricerca di Franz Kafka, Lost Memory 3 (Memoria perduta)
Locke. Il tema
della tolleranza e dei suoi limiti, con riferimento alla convivenza tra le
religioni, trova il suo grande teorizzatore in Locke. L’argomentazione
a favore della tolleranza poggia su due pilastri: 1. La convinzione che la religione
sia una scelta individuale che appartiene alla sfera delle decisioni interiori
e che non può essere imposta con la forza; 2. La
concezione dello stato laico che non ha finalità religiose ma deve poter
garantire il libero esercizio dei diversi culti. Il limite
della tolleranza è posto da Locke nella sua stessa salvaguardia: non può essere
tollerato chi mette a repentaglio la sopravvivenza della comunità che
garantisce la tolleranza [1].
Ottorino Stefanini, Labirinto mentale, Figura in bianco e nero, 2015
Voltaire
sposta la riflessione sulle ragioni interiori della tolleranza che devono
affondare le loro radici nella consapevolezza della comune fragilità umana.
Siamo un impasto di debolezze ed errori: quindi nessuno può ritenere di
possedere una verità assoluta da imporre agli altri (come accade nel fanatismo
intollerante) e tutti dobbiamo perdonarci a vicenda e tollerare le nostre sciocchezze [2]. Popper. Erede di questa
duplice linea di pensieri è il filosofo novecentesco Popper, che allarga il
tema della tolleranza alle diverse dottrine e idee, anche di carattere politico.
Ottorino Stefanini, Gli altri 2, 2015
Fino a che punto possiamo essere tolleranti di fronte a posizioni che, ritenendosi
detentrici di una verità assoluta, vogliono imporla ad altri con la forza? Per
Popper la tolleranza illimitata porta alla sua stessa eliminazione perché
lascia libero di agire chi, non credendo nella tolleranza, se ne può servire
semplicemente per sopprimerla, instaurando un regime dispotico di intolleranza
(l'esempio che propone è quello della Repubblica di Weimar). Perciò
l’espressione di teorie intolleranti può essere sopportata solo se si lascia
soppesare, sottoporre al pubblico dibattito e al vaglio dell’argomentazione
razionale, secondo la logica di un pluralismo critico che pone in competizione
le diverse teorie e le seleziona - mantenendo le migliori ed eliminando le
peggiori - nella direzione di una comune ricerca della verità. Non debbono
esser invece tollerati quei movimenti intolleranti che rifiutano il dibattito e
scelgono la via della violenza – o istigano ad essa - [3].
Ottorino Stefanini, Alla ricerca di Franz Kafka, Die Wand(Il muro), 2014
Bobbio. Il discorso è apparentemente molto chiaro: la tolleranza non può essere
estesa a coloro che negano il principio di tolleranza. Eppure, afferma
Bobbio, se è vero che la tolleranza - intesa come scelta consapevole del
dialogo e del rispetto della persona
altrui, nel rifiuto della violenza come unico
mezzo per affermare le proprie idee –
non può essere illimitata (non si può tollerare ciò che arreca danno all’individuo
e alla società), stabilire i limiti della tolleranza non è per nulla facile. In
primo luogo perché la manifestazionedell’intolleranza può avere diversi gradi e ambiti,in secondo
luogo perché rispondere all’intollerante con l’intolleranza può essere
eticamente povero e politicamente poco efficace. Infatti, se esiste una qualche
possibilità che l’intollerante, accolto in un contesto di libertà, possa capire
il valore morale di chi crede e mette in atto il rispetto delle idee altrui,
non vi è alcuna possibilità che l’intollerante perseguitato per le sue idee
diventi tollerante, generandosi così da intolleranza altra intolleranza [4].
Ottorino Stefanini, Alla ricerca di Franz Kafka, Paesaggio invernale, 2013
Conclusioni provvisorie. Il discorso dunque rimane ancora aperto...
[1] Perciò non sono tollerati
all’interno della comunità politica gli atei che non sanno mantenere i patti
che sono alla base della società. Così anche i cattolici che dipendono da
un’autorità superiore ed esterna allo stato (il pontefice).Cfr. John Locke, Lettera sulla tolleranza, Paravia, Torino 1990. [2] Cfr. Voltaire,
Trattato sulla tolleranza, Editori Riuniti, Roma 1998. [3] Cfr. Karl R. Popper, La società aperta e i suoi
nemici, Armando, Roma 1996, vol. 1, p. 346-47. [4] Cfr. Norberto Bobbio, Le ragioni della tolleranza,
in L’età dei diritti, Einaudi 1992, pp. 235-252.
Grazie per l'approfondimento professoressa! Le posizioni sopra descritte sono tutte molto interessanti. E, a seguito della lettura, la frase che più rimane in me si trova nella descrizione del pensiero di Bobbio secondo cui “stabilire i limiti della tolleranza non è per nulla facile”. Non so assolutamente se sia giusto o meno porre limiti alla tolleranza, ovviamente come ognuno ho il mio pensiero a riguardo, ma dalla frase di Bobbio sorgono in me due domande: quali limiti è lecito porre alla tolleranza? E quali limiti è giusto porre alla tolleranza? Sono assolutamente d’accordo con lei che il discorso rimane ancora aperto, ma sono convinto che parte delle risposte alle domande risiedano proprio nelle domande stesse: coloro che riflettono, si interrogano e “giacciono” nelle letture, nell’ascolto e nel confronto altrui, non ritenendo di possedere una verità assoluta da imporre, stanno in parte già dando risposta alle domande. Quindi grazie! Un abbraccio, Giovanni S
Caro Giovanni, è sempre una gioia grande avere tue notizie e scambiare qualche riflessione. Mi trovi totalmente in sintonia sull’importanza di “abitare le domande”. Credo che l’atteggiamento filosofico stia proprio nella domanda più ancora che nella risposta, nel tener desta la capacità di interrogarsi e di scandagliare le diverse possibilità di una situazione e i molteplici lati di un problema. Mi pare anche molto significativo il verbo che hai usato: “giacere” – inteso sia come stare, permanere, sia come riposare, riprendersi - nel confronto con letture, voci, autori che possono dare luce e orientare la ricerca – sempre parziale e prospettica – della verità. Ti saluta anche mio marito e ti auguriamo Buon Natale e Buone Feste con tutto il cuore.
La Tolleranza: la virtu' che accetta le diversita' senza pregiudizi: . il rispetto verso coloro che pensano e agiscono nel rispetto dei diversi principi; . consentire di far parlare i nostri interlocutori anche se non condividiamo quel che dicono; . ascoltare le diverse opinioni che possono portare a una verita' condivisibile. Significativa la "Preghiera a Dio" - dal Trattato sulla Tolleranza di Voltaire. Ciascuno, dovrebbe porsi dei limiti entrò i quali "tollerare" senza rimanere danneggiato. Oltre i quali, si sconfina nel l'intolleranza. Ma quali i parametri? K.R. Popper rifacendosi a Voltaire, osserva che nella Tolleranza ci sono dei limiti: ne individua tre. Interessante la distinzione tra: relativismo e pluralismo critico. Nel primo, Egli ritiene tutte le tesi piu' o meno intellettualmente difendibili:"tutto e' accettabile" - ma cosi' facendo si sconfina nell'anarchia. "Tutto puo' essere affermato." Il secondo, invece, ricerca la "verita'" mettendo in competizione tutte le teorie. "Le migliori prevarranno sulle altre." - "la Teoria che sembra avvicinarsi maggiormente nel corso della discussione critica alla Verita', rimpiazza le Teorie piu' deboli. Pertanto, conclude Popper, la questione in gioco e' quella della Verita'. Non vi e' dubbio che l'eccesso di tolleranza sia dannoso quanto quello dell'intolleranza. Ma quali i limiti. Certamente ci sono quelli personali, che comunque vanno rapportati con quelli: etici, religiosi, sociali, culturali...Grazie a Rossana per la trattazione di questa " disposizione dell'animo umano" nel rapportarsi verso il prossimo, oggi, quanto mai attuale. Un affettuoso abbracciò a entrambi.
Grazie caro Franco per le tue articolate e arricchenti notazioni (in particolare per la lucida distinzione tra relativismo e pluralismo critico) e grazie per aver ricordato la bella “Preghiera a Dio” di Voltaire (Trattato sulla tolleranza, Capitolo XXIII) che riporto qui per chi volesse leggerla: «Dunque non è più agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi: se è permesso a delle deboli creature perse nella tua immensità e impercettibili al resto dell’universo osare chiedere qualcosa a te, che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di guardare con pietà gli errori insiti nella nostra natura; che questi errori non causino la nostra rovina. Tu non ci hai dato un cuore per odiarci, e delle mani per sgozzarci; fa’ che noi ci aiutiamo a vicenda a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera; fa’ che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutti i nostri linguaggi insufficienti, tra tutti i nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni così disuguali ai nostri occhi e così eque davanti a te; che tutte queste piccole sfumature che distinguono l’uno dall’altro gli atomi chiamati ‘uomini’ non siano dei marchi di odio e persecuzione; che coloro che accendono dei ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono la loro veste con un telo bianco per dire che bisogna amarti non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera; che sia la stessa cosa adorarti in un dialetto formatosi da una lingua antica o in un dialetto più recente; che quelli il cui abito è tinto di rosso o di viola, che dominano su una piccola briciola di un piccolo mucchio di terra di questo mondo, e che possiedono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza orgoglio di ciò che essi chiamano splendore e ricchezza, e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che non c’è né di che invidiare né di che inorgoglirsi di queste cose vane. Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Che abbiano in orrore la tirannia esercitata sugli animi, così come considerano esecrabile il brigantaggio che sottrae con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica. Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci, non sbraniamoci gli uni gli altri quando regna la pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza a benedire ugualmente in mille lingue diverse, dal Siam fino alla California, la tua bontà che ci ha dato questo istante».
Un grande abbraccio a te e ad Enrica, Rossana e Gian Maria.
Grazie per l'approfondimento professoressa!
RispondiEliminaLe posizioni sopra descritte sono tutte molto interessanti. E, a seguito della lettura, la frase che più rimane in me si trova nella descrizione del pensiero di Bobbio secondo cui “stabilire i limiti della tolleranza non è per nulla facile”. Non so assolutamente se sia giusto o meno porre limiti alla tolleranza, ovviamente come ognuno ho il mio pensiero a riguardo, ma dalla frase di Bobbio sorgono in me due domande: quali limiti è lecito porre alla tolleranza? E quali limiti è giusto porre alla tolleranza?
Sono assolutamente d’accordo con lei che il discorso rimane ancora aperto, ma sono convinto che parte delle risposte alle domande risiedano proprio nelle domande stesse: coloro che riflettono, si interrogano e “giacciono” nelle letture, nell’ascolto e nel confronto altrui, non ritenendo di possedere una verità assoluta da imporre, stanno in parte già dando risposta alle domande.
Quindi grazie!
Un abbraccio,
Giovanni S
Caro Giovanni, è sempre una gioia grande avere tue notizie e scambiare qualche riflessione. Mi trovi totalmente in sintonia sull’importanza di “abitare le domande”. Credo che l’atteggiamento filosofico stia proprio nella domanda più ancora che nella risposta, nel tener desta la capacità di interrogarsi e di scandagliare le diverse possibilità di una situazione e i molteplici lati di un problema. Mi pare anche molto significativo il verbo che hai usato: “giacere” – inteso sia come stare, permanere, sia come riposare, riprendersi - nel confronto con letture, voci, autori che possono dare luce e orientare la ricerca – sempre parziale e prospettica – della verità. Ti saluta anche mio marito e ti auguriamo Buon Natale e Buone Feste con tutto il cuore.
RispondiEliminaLa Tolleranza: la virtu' che accetta le diversita' senza pregiudizi:
RispondiElimina. il rispetto verso coloro che pensano e agiscono nel rispetto dei diversi principi;
. consentire di far parlare i nostri interlocutori anche se non condividiamo quel che dicono;
. ascoltare le diverse opinioni che possono portare a una verita' condivisibile. Significativa la "Preghiera a Dio" - dal Trattato sulla Tolleranza di Voltaire. Ciascuno, dovrebbe porsi dei limiti entrò i quali "tollerare" senza rimanere danneggiato. Oltre i quali, si sconfina nel l'intolleranza. Ma quali i parametri? K.R. Popper rifacendosi a Voltaire, osserva che nella Tolleranza ci sono dei limiti: ne individua tre. Interessante la distinzione tra: relativismo e pluralismo critico. Nel primo, Egli ritiene tutte le tesi piu' o meno intellettualmente difendibili:"tutto e' accettabile" - ma cosi' facendo si sconfina nell'anarchia. "Tutto puo' essere affermato." Il secondo, invece, ricerca la "verita'" mettendo in competizione tutte le teorie. "Le migliori prevarranno sulle altre." - "la Teoria che sembra avvicinarsi maggiormente nel corso della discussione critica alla Verita', rimpiazza le Teorie piu' deboli. Pertanto, conclude Popper, la questione in gioco e' quella della Verita'. Non vi e' dubbio che l'eccesso di tolleranza sia dannoso quanto quello dell'intolleranza. Ma quali i limiti. Certamente ci sono quelli personali, che comunque vanno rapportati con quelli: etici, religiosi, sociali, culturali...Grazie a Rossana per la trattazione di questa " disposizione dell'animo umano" nel rapportarsi verso il prossimo, oggi, quanto mai attuale. Un affettuoso abbracciò a entrambi.
Grazie caro Franco per le tue articolate e arricchenti notazioni (in particolare per la lucida distinzione tra relativismo e pluralismo critico) e grazie per aver ricordato la bella “Preghiera a Dio” di Voltaire (Trattato sulla tolleranza, Capitolo XXIII) che riporto qui per chi volesse leggerla:
RispondiElimina«Dunque non è più agli uomini che mi rivolgo; ma a te, Dio di tutti gli esseri, di tutti i mondi e di tutti i tempi: se è permesso a delle deboli creature perse nella tua immensità e impercettibili al resto dell’universo osare chiedere qualcosa a te, che hai dato tutto, a te i cui decreti sono immutabili quanto eterni, degnati di guardare con pietà gli errori insiti nella nostra natura; che questi errori non causino la nostra rovina.
Tu non ci hai dato un cuore per odiarci, e delle mani per sgozzarci; fa’ che noi ci aiutiamo a vicenda a sopportare il fardello di una vita penosa e passeggera; fa’ che le piccole differenze tra i vestiti che coprono i nostri deboli corpi, tra tutti i nostri linguaggi insufficienti, tra tutti i nostri usi ridicoli, tra tutte le nostre leggi imperfette, tra tutte le nostre opinioni insensate, tra tutte le nostre condizioni così disuguali ai nostri occhi e così eque davanti a te; che tutte queste piccole sfumature che distinguono l’uno dall’altro gli atomi chiamati ‘uomini’ non siano dei marchi di odio e persecuzione; che coloro che accendono dei ceri in pieno giorno per celebrarti sopportino coloro che si accontentano della luce del tuo sole; che coloro che coprono la loro veste con un telo bianco per dire che bisogna amarti non detestino coloro che dicono la stessa cosa sotto un mantello di lana nera; che sia la stessa cosa adorarti in un dialetto formatosi da una lingua antica o in un dialetto più recente; che quelli il cui abito è tinto di rosso o di viola, che dominano su una piccola briciola di un piccolo mucchio di terra di questo mondo, e che possiedono qualche frammento arrotondato di un certo metallo, gioiscano senza orgoglio di ciò che essi chiamano splendore e ricchezza, e che gli altri li guardino senza invidia: perché tu sai che non c’è né di che invidiare né di che inorgoglirsi di queste cose vane.
Possano tutti gli uomini ricordarsi che sono fratelli! Che abbiano in orrore la tirannia esercitata sugli animi, così come considerano esecrabile il brigantaggio che sottrae con la forza il frutto del lavoro e dell’industria pacifica. Se i flagelli della guerra sono inevitabili, non odiamoci, non sbraniamoci gli uni gli altri quando regna la pace, e impieghiamo l’istante della nostra esistenza a benedire ugualmente in mille lingue diverse, dal Siam fino alla California, la tua bontà che ci ha dato questo istante».
Un grande abbraccio a te e ad Enrica, Rossana e Gian Maria.