Indubbiamente sì: è compito della
scuola educare a com-petere, porre insieme domande, insieme ricercare la via
delle risposte e soprattutto offrire ai giovani solide “competenze”.
Competizione è una parola terribilmente
equivoca, dai molteplici e contrastanti significati a seconda che la si
usi nello sport (lotta, gara, sfida, agonismo), nei pubblici concorsi (dove
pochi vincono e molti perdono), nei rapporti interpersonali e sociali
(rivalità, sopraffazione), nell’economia di mercato (concorrenza, antagonismo),
nella scuola (emulazione), nella cultura e nella professione (essere
competenti…)…
Davide Bonazzi, Iniquità |
Nella scuola la com-petizione non
può tradire il significato etimologico del latino cum-petere: tendere
verso, insieme ricercare ed insieme chiedere e domandare. Non è
assolutamente riferibile al modello mediato dal mercato e dalla cultura
dominante (“cultura dello scarto”!), il quale non è affatto un’ineludibile
legge naturale, ma un prodotto storico che, come è nato, così potrebbe morire.
E nulla vieterebbe di trasformare il modello e la prassi attuale in un mercato
“equo e solidale”…
Davide Bonazzi, La più inclusiva delle scuole |
Anche in questo risiede la sua extraterritorialità
rispetto al contesto economico dominante, che certo la scuola non può
e non deve ignorare.
Si tratta invece di accettare la
sfida di preparare ciascuno ad essere “lottatore e conciliatore”, perché la
scuola è nell’ordine dell’utopia e della profezia.
Essa “siede fra il passato e il
futuro e deve averli presenti entrambi. E’ l’arte delicata di condurre i ragazzi
su un filo di rasoio: da un lato formare in loro il senso della legalità […],
dall’altro la volontà di leggi migliori cioè il senso politico […]. E allora il
maestro deve essere per quanto può profeta, scrutare “i segni dei tempi”,
indovinare negli occhi dei ragazzi le cose belle che essi vedranno chiare
domani e che noi vediamo solo in confuso” (1).
Davide Bonazzi, Ombre cinesi |
(1) Lettere di don Milani
priore di Barbiana, Mi, Mondadori,1970, p.250.
Davide Bonazzi, Libertà |
Davide Bonazzi, Illustrazione per la rivista American Way, particolare |
Davide Bonazzi è un illustratore italiano giovane e già affermato, che
lavora per committenti italiani ed esteri, specialmente statunitensi (riviste,
case editrici: qui il sito). Per sua stessa affermazione il suo stile può definirsi “concettuale
e surreale” (vedi intervista di Panorama, qui). Le immagini sono, infatti,
metafore di concetti, esprimono un’idea, sono il risultato di una sinergia
inscindibile tra mente che elabora il messaggio e mano che disegna. Gli
elementi della realtà, presi a prestito nella raffigurazione, sono posti a
servizio del pensiero, sono deformati e decontestualizzati, per poter assurgere
a simbolo e farsi indicazione di un significato. Per questa capacità simbolica
le illustrazioni, predisposte per ben precisi ambiti editoriali e rispondenti a
determinate esigenze di mercato, assumono una valenza universale, indipendente
dalla loro origine.
Davide Bonazzi, Libertà, particolare |
Così, nella rappresentazione del fanciullo che si tuffa nel mare del
mondo da un improbabile altissimo sgabello, si può leggere il compito che la
scuola dovrebbe avere: quello di preparare donne e uomini capaci di nuotare nel
mare della vita. Analogo messaggio potrebbe essere rintracciato in quel filo
spinato, emblema di tutte le catene umane, trasformato in ali di uccelli che
volano nel cielo…
Ecco il motivo per cui le immagini sono più potenti del pensiero astratto: perché coinvolgono, emozionano, sorprendono, suggestionano… Nello stesso tempo, come nel caso di Davide Bonazzi, esse si fanno strumento di un impegno civile che mette in luce segregazioni, ingiustizie, sofferenze, alienazioni e inducono chi le guarda a riflettere, creando così cultura.
Post di Gian Maria Zavattaro
Iconografia di Rossana Rolando.
Ecco il motivo per cui le immagini sono più potenti del pensiero astratto: perché coinvolgono, emozionano, sorprendono, suggestionano… Nello stesso tempo, come nel caso di Davide Bonazzi, esse si fanno strumento di un impegno civile che mette in luce segregazioni, ingiustizie, sofferenze, alienazioni e inducono chi le guarda a riflettere, creando così cultura.
Post di Gian Maria Zavattaro
Iconografia di Rossana Rolando.
Grazie, GianMaria, bellissimo questo post....
RispondiEliminaPenso che la famiglia sia la prima fucina dove si impara ad essere "diversi" e stare comunque insieme... crescere così, con le peculiarità di ciascuno e imparare a "competere"..
Grazie e cari saluti
Cara Nele nele, è sempre un piacere leggere le tue riflessioni che aggiungono qualcosa in più: un’angolatura, una prospettiva. Grazie di cuore per la tua vicinanza. Un abbraccio, Rossana.
RispondiEliminaGrazie anche di queste opportune riflessioni. Mi aiutate a ri-percepire la bellezza, la forza, la delicatezza e l'importanza del lavoro di insegnante. Domani alle 8 avrò gli scrutini: che possa valutare bene i miei alunni ... Buona notte. Cordiali saluti.
RispondiElimina@ mari da solcare. Ricordo gli scrutini come il momento dialettico della verità, come resa di conti non tanto degli studenti ma del preside, del consiglio di classe, dei singoli docenti. Valutazione del preside in quanto informato (o no, dipende da che cosa faceva durante l’anno…) del processo di apprendimento e dei singoli risultati finali, consapevole del significato non fiscale della valutazione intermedia e finale (voto di condotta compreso), conoscitore delle luci e delle ombre insite nella dialettica relazionale all’’interno di ogni classe, capace di riconoscere i tanti meriti dei docenti ma anche di segnalare con ferma intelligenza pregiudizi e stereotipi (effetto alone, effetto Pigmalione, meccanismi proiettivi, a volte anche l’invidia magistri, spesso l’incapacità di andare oltre il pensiero convergente…); preside lottatore e conciliatore, capace soprattutto di non lasciare al caso ed agli umori prevalenti del momento decisioni irrevocabili. Il consiglio di classe con le sue alleanze ed opposizioni, la circolarità di comunicazioni verbali e non verbali consapevoli ed inconsapevoli, la difficoltà di prendere chiara posizione di fronte a singole proposte dal sapore fazioso (la classica resa dei conti!), l’autorevolezza di qualcuno e la pedanteria di altri, la problematicità delle valutazioni orali e scritte (il significato non fiscale del voto vissuto praticato e comunicato agli studenti, il “peso” attribuito ad ogni verifica sia del pensiero convergente sia di quello divergente, la consegna in tempi ristretti delle prove scritte come dimostrazione del significato didattico della valutazione, il numero “congruo” delle valutazioni, gli obiettivi misurati, le modalità, la distribuzione in tempi convenienti e non all’ultimo momento…). Il docente: giustamente geloso della sua libertà didattica e metodologica pur in una circolarità corale,disponibile a centrarsi sulla diversa crescita culturale di ogni suo allievo, capace di empatia senza false debolezze, anche e soprattutto nel caso di inevitabili valutazioni negative. Sono sicuro che i suoi scrutini siano stati una bella avventura umana e culturale, a riprova della sua competenza professionale e sensibilità di insegnante e di cittadina.
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