Iscriviti ai Feed Aggiungimi su Facebook Seguimi su Twitter Aggiungimi su Google+ Seguici tramite mail

Iscriviti alla nostra newsletter!

martedì 21 marzo 2017

“Capitalismo come religione”.

Una lettura del capitalismo che passa attraverso i vari volti da esso assunti fino ad oggi e che - al di là delle trasformazioni - lo individua come una fede: vera e propria religione del denaro e del potere finanziario.
🖋 Post di Rosario Grillo 
🎨 Immagini delle opere di Marinus van Reymerswaele, pittore olandese vissuto tra il 1490 e il 1546.


Marinus van Reymerswael, 
I cambiavalute, particolare
La storia del capitalismo è una lunga marcia trionfale? La sua dottrina esprime sicurezza sulla capacità di superare ogni crisi che lo aggredisce, classificandola nell’ordine della ciclicità, a dispetto della straordinaria lunghezza di qualcuna (come l’attuale).
Qualche cantore ha addirittura messo a disposizione lo strumento dell’analisi storica per conclamare la sua  “invincibilità”: così dopo la caduta del comunismo nel 1989, decretando “la fine della storia” (Samuel Huntingthon).
Fastidiosa (o repellente) la sicumera con cui gli “addetti ai lavori” del capitalismo finanziario, che ne rappresenta uno stadio evoluto e sofisticato, rigettano come astrusi e aleatori, comunque non pragmatici, i criteri di valutazione e di comparazione dei fatti economici eterogenei al loro sistema di algoritmi.
La globalizzazione, in questo contesto, rischia di essere letta esclusivamente “a una dimensione”, univocamente padroneggiata dalla logica del dominio capitalista.
Il fulcro del capitale è sempre stato nella mobilità della ricchezza, come per tempo individuò Aristotele configurando la “crematistica” (e diffidandone). Gli economisti della scuola classica e Marx, nell’epoca del capitalismo moderno, lo dettagliarono con razionalità, indicandone leggi, comportamenti economici, limiti sociali e contraddizioni.
Marinus van Reymerswael,
I cambiavalute, particolare
Necessità implicita del capitalismo è la sua continua evoluzione: segno specifico, la moneta, radicalmente mutata dall’epoca del “valore intrinseco” all’epoca del “valore nominale”; giunta, quindi, attualmente ad un livello di sofisticazione elevatissimo, che la rende “ostaggio” dei tecnici della finanza.
“Nel mondo circolano oltre 700 trilioni di dollari (in valore nominale) di derivati, di cui soltanto il dieci per cento, e forse meno, passa attraverso le borse. Il resto è scambiato tra privati….
Si stima che le transazioni che vanno a comporre gli indici resi pubblici riguardino appena il quaranta per cento dei titoli scambiati; gli altri si negoziano su piattaforme private… Di quel quaranta per cento almeno quattro quinti hanno finalità puramente speculative a breve termine… Di tali transazioni a breve, circa il 35-40 per cento nell’eurozona, e il 75-80 per cento nel Regno Unito e in USA, si svolgono mediante computer governati da algoritmi che esplorano su quale piazza del mondo il tale titolo (o divisa o tasso d’interesse o altro) vale meno e su quale vale di più…..Ne segue che chi parla di giudizio dei mercati dovrebbe piuttosto parlare di giudizio dei computer “ (L. Gallino su La Repubblica del 26 giugno 2013).
Marinus van Reymerswael,
I cambiavalute, particolare
C’è chi si ferma a deprecare l’abbandono americano della convertibilità del dollaro in oro (agosto 1971, sotto la presidenza Nixon), considerandolo l’origine effettiva della speculazione finanziaria. Ma lo “svilimento” (smaterializzazione) della moneta era iniziato già per tempo ed indietro nel passato la sua fungibilità con la carta-moneta era stata sperimentata fin dal Medioevo. Essa si reggeva e si regge sulla fiducia: cioè la capacità di convertire alla pari il documento cartaceo, che altro non è se non la capacità di “onorare” il debito.
Ecco emergere, di seguito, una serie  di termini-chiave (conversione, fiducia, debito che nel tedesco Schuld ha anche un altro significato: colpa) rivelatori di una sostanza religiosa del verbo capitalista.
M.Weber,  guidato da un’esigenza di metodo scientifico per cui doveva replicare al materialismo storico di Marx, all’inizio del Novecento aveva messo in luce una dimensione etico-psicologica interna al capitalismo, così da azzardare la definizione: “spirito del capitalismo”. Egli aveva così messo a fuoco le caratteristiche di: austerità – razionalità di gestione – attivismo economico mirato al successo, nell’etica calvinista.

Marinus van Reymerswael,
Il cambiavalute
Nello stesso contesto culturale, caratterizzato da un fecondo dibattito sul problema del metodo, W. Benjamin abbozzò le scarne tesi conosciute sotto il nome di “Capitalismo come religione”. In esse riconobbe al capitalismo la natura di una religione, ristretta al solo aspetto cultuale.
Una tesi radicale, che, per cominciare, tralasciava d’insistere sull’afflato morale, suggerito da Weber, che accompagnerebbe l’istanza del profitto capitalistico facendolo vibrare, nella sua autenticità, di una risonanza etica e di una finalità sociale.
Come aveva capito Marx, il dato quantitativo  è determinante nella movimentazione del denaro, perché solo così riesce ad avere senso un investimento di denaro secondo la transazione D.M.D’ animata dal valore di scambio. Nell’astratto d’essa transazione s’include sia la “molla continua del circuito economico (applicata in conformità dei generi specifici: commerciale, industriale, post-industriale) sia la fede riposta nell’esito, nel successo dell’affare. 
Marinus van Reymerswael,
Il banchiere con sua moglie, particolare
Va qui evidenziato che la figura protagonista, attore indiscusso dello scenario capitalistico, è l’individuo, anche quando, per affrontare forze coalizzate e avversità nemiche, si dà corso ad associazioni monopolistiche (trust, cartello e vari) che finiranno per assumere natura di organizzazioni individuali.
In quest’ottica si comprende la filosofia socio-politica del neoliberismo affermatasi a partire dagli anni settanta del XX secolo. Di essa è conosciuta la rivendicazione del primato del mercato correlata con l’ostilità a tutte le ingerenze estranee, di natura socio-politica. Essa ha contrassegnato una svolta storica, che si prolunga dagli anni settanta al momento attuale; per questo è stata coinvolta in maniera attiva nei fattori scatenanti e nell’andamento (prolungato) della presente crisi, nata come crollo di alcuni imperi finanziari e continuata come crisi dei debiti sovrani con una fatale coda recessiva.
“Messo in cassa” il salvataggio delle grandi banche, alfieri di quell’estremo capitalismo finanziario fondato sulla pura speculazione borsistica e sganciato da qualsiasi fondamento reale di ricchezza (di capitale), lo stesso “partito”, con varie uscite (ultima quella della JP Morgan), mette sotto stato accusa la democrazia e le sue garanzie, bollandole come ostacoli all’azione (panacea) del mercato liberatore.
Marinus van Reymerswael,
Il banchiere con sua moglie, particolare
“In un rapporto sulla crisi dell’euro pubblicato il 28 maggio JP Morgan ha puntato il dito contro il sistema politico nelle periferie Sud, definito dalle esperienze dittatoriali, e la Costituzione in nome della cosmica giustizia dei mercati: ecco  il ‘grande progetto’ del nostro tempo. E non sono solo le banche d’affari a pensarla così (B. Spinelli su La Repubblica del 26/06/13 ).
Non sono passate nella dimenticanza le riserve del nostro M. Monti sulla democrazia, suggellate nell’opera   “La democrazia in Europa”, espresse assieme alla preferenza per i tecnici (gli ottimati), unici custodi della sacralità del Mercato.
Al cospetto di questa sfrontatezza/cocciutaggine, che può avere come unica chiave di lettura la struttura ideologica, confinante con il dogmatismo, tornano alla mente le intuizioni di W. Benjamin circa la sostanza religiosa del capitalismo.
Come si scriveva sopra, per Benjamin, il capitalismo è il culto ossessivo “sans trevé et sans mercì” del Dio-Denaro. Di un denaro, che oggi ha perso qualsiasi oggettività di riscontro, sottomesso com’è all’ingegneria finanziaria dei software dei brokers più smaliziati (vedi le riserve di L. Gallino).
Esito fatale di un’evoluzione, che lo stesso Schumpeter aveva intravisto, quando aveva delineato la necessità nel capitalismo di creare, in forza della sua evoluzione, “nuove combinazioni” superiori alle fonti di finanziamento dei privati imprenditori, fatalmente bisognose delle grandi banche.

Marinus van Reymerswael,
Il banchiere con sua moglie
“Il banchiere, dunque, fondamentalmente non è tanto un intermediario della merce ‘potere d’acquisto’, ma un ‘produttore’ di questa merce. Dal momento però che oggi, normalmente, anche tutti i fondi di riserva e i risparmi affluiscono a lui e che su di lui si concentra la domanda totale di potere d’acquisto disponibile, sia esistente sia da creare, egli ha per così dire sostituito o messo sotto la sua tutela i capitalisti privati, è diventato egli stesso il capitalista” (J. Schumpeter, Teoria dello sviluppo economico).
Benjamin proponeva un Unkehr, un netto capovolgimento sostanziato da ragioni socio-comunitarie, lasciando trasparire gli echi e marxisti e resistenziali presenti nella sua riflessione. Oggi, in presenza di una perdita di pathos, abbiamo comunque presente i fondamenti concettuali del “verbo capitalista”, illuminati da tali presupposti e possiamo essere pienamente consapevoli del carattere fideistico delle raccomandazioni e dei desiderata dei potentati del capitalismo finanziario.

Marinus van Reymerswael, 
L'esattore delle tasse
Paradigmatiche e conclusive le parole di G. Agamben, che mettono a fuoco indelebilmente le implicanze delle note benjaminiane: “Nella pistis paolina rivive quell’antichissima istituzione indoeuropea che Benveniste ha ricostruito: ‘la fedeltà personale’… Se questo è vero, allora l’ipotesi di Benjamin di una stretta relazione tra capitalismo e cristianesimo riceve una conferma ulteriore: il capitalismo è una religione interamente fondata sulla fede... E come, secondo Benjamin, il capitalismo è una religione in cui il culto si è emancipato da ogni oggetto e la colpa da ogni peccato e quindi da ogni possibile redenzione, così, dal punto di vista della fede, il capitalismo non ha alcun oggetto: crede nel puro fatto di credere, nel puro credito – cioè nel denaro”.
🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵
Per ascoltare il video di Rai Educational, Carlo Salzani su “Capitalismo come religione di Walter Benjamin (durata 7 minuti circa), cliccare qui.
🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵🔵

4 commenti:

  1. Su, coraggio,commentate! Sembrate ammutoliti come nei casi di relazioni" professorali ", che lasciano esterrefatti.
    Nessuna devozione al Capitalismo, come nessuna remora.
    Da esso discende tanta parte del nostro modus vivendi e per ciò se ne deve dibattere.

    RispondiElimina
  2. Mi riesce difficile pensare al capitalismo come religione anche se solo cultuale. Penso che la rottura con questa "religione" così pervasiva e che pare invincibile non possa prescindere da una grande, grandissima componente religiosa. Di una religione basata sull'essere e non sull'avere. Facile a dirsi..... , ma qualcosa si muove.

    RispondiElimina
  3. Caro Rosario, accetto la tua provocazione, in qualche modo riprendendo il discorso di Gianni. Non c’è scampo: siamo tutti impregnati, volenti e nolenti, consapevoli e non, di ”fede” e prassi capitalistica, a partire dai sedicenti rivoluzionari, che nel capitalismo ci sguazzano bene. Non vedo soluzioni, se non a lungo termine e “vedo solo la possibilità di una rivoluzione prima di tutto “spirituale”. Mounier - pressappoco negli anni di Benjamin - sosteneva che “una delle deviazioni fondamenali del capitalismo è quella di aver sottomesso la vita spirituale al consumo, il consumo alla produzione e la produzione al profitto”. In altre parole lo sfruttamento economico globale, l’ingiustizia sociale planetaria, l’oppressione politica sono gli aspetti di un dominio globale che trova le sue basi in una cultura che si è nei secoli degenerata, divenuta una religione invisibile dello spirito. Il compito primo dovrebbe essere dunque liberare lo spirito, reinventare la civiltà: una vera e propri conversione interiore. Mounier nel primo numero di Esprit nel 1932 dichiarava: “ cambiate il cuore del vostro cuore‟μετανοεῖτε“. E poi naturalmente nuove strutture, restaurando la società, innanzitutto incominciando da se stessi e da piccoli gruppi, incessantemente ricominciando. A distanza di quasi 100 anni vale il medesimo grido.

    RispondiElimina
  4. Nel testo, collage di spunti che mi sono arrivati da più parti, ho cercato di invitare a vedere un ossimoro : Fede dentro l'universo mentale (psicologia, ma non solo) del capitalista. Il paradosso è che proviene da un "homo oeconomicus ", perché il dato di base è completamente materialista.
    L'attacco "alla fede capitalista" può avvenire da diverse angolazioni ( non solo spiritualista, che viene da esso, pregiudizialmente, rifiutata) e principalmente sfidando il Capitalismo dentro la "sua logica"( per niente ferrea)

    RispondiElimina