A partire da un piccolo ed esemplare racconto, il filosofo tedesco Walter Benjamin (1892-1940) introduce nel segreto fascino della narrazione.
🖊 Post di Rossana Rolando
🎨 Tutte le immagini riproducono opere risalenti alla fase pre astrattista di Wassily Kandinsky (per una presentazione di essa si può cliccare qui: Wassily Kandinsky e la fiaba).
Wassily Kandinsky, L'elefante (1908) |
Wassily Kandinsky, Domenica, Russia antica (1904) |
Questo
racconto riportato da Erodoto nel terzo libro delle sue Storie, ripreso da
Montaigne e raccolto infine da Benjamin nel suo breve e intenso saggio sulla
narrazione “produce stupore e riflessione” (p. 255) ed ha il potere - dopo millenni - di
suscitare curiosità e interrogazione nel pensiero.
Perché il faraone rimane muto di fronte all’umiliazione e alla condanna dei propri figli, mentre piange dinnanzi alla prigionia di un suo vecchio servo impoverito? Montaigne propone una sua esegesi: «Poiché traboccava già di cordoglio, bastava una piccola aggiunta perché quello spezzasse i suoi argini».
E lo stesso Benjamin presenta diverse altre possibili interpretazioni: il re
non si commuove di fronte al destino dei propri figli perché essi condividono,
in quanto familiari, il suo stesso destino, mentre il domestico avrebbe dovuto
rimanerne estraneo; oppure ancora: il servo mette in scena e rappresenta in
modo commovente – come un attore a teatro – il dolore che rimane muto
nell’esperienza intima della vita; infine: il faraone, vedendo il servo,
allenta la sua tensione e lascia scorrere quel pianto prima accumulato e
silenziosamente concentrato…
L’attenzione di Benjamin – all’interno del suo saggio – non è tanto rivolta al contenuto del racconto, quanto piuttosto alla forma. La narrazione è ciò che Benjamin assume come centro del suo discorso. Mentre l’informazione esaurisce immediatamente il suo effetto una volta data, la narrazione dura, perché contiene un messaggio sapienziale: una morale, un’istruzione, una norma di vita, un consiglio per chi ascolta (cfr. p. 250). Se l’informazione deve essere plausibile e immediatamente controllabile, la narrazione può attingere al meraviglioso, al mitico, all’immaginario.
La molteplicità interpretativa del racconto e la sua “ampiezza di vibrazioni” (p.
253) non costituiscono mai una povertà o una ambiguità della comunicazione - come
potrebbe essere per una semplice informazione - ma corrispondono piuttosto a una ricchezza di
valore spirituale che non si lascia esaurire in un solo significato.
Non è un caso che il saggio Il narratore sia dedicato a Nicolaj Leskov, scrittore russo di racconti, con una sensibilità religiosa simile a quella di Dostoevskij, poiché proprio la parola “sacra” ha questo carattere rivelativo per chi ascolta. Nel Talmud babilonese (b.Sanhedrin, 34a.) si legge: «Un maestro della scuola di Rabbi Ishmael ha insegnato: “Non è forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roccia? (Ger 23, 29). Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure da un solo versetto scaturiscono sensi molteplici».
Per
Benjamin l’arte del narrare è legata alla trasmissione orale di un’esperienza “comunicabile”
(p. 248) che si sviluppa lungo il viaggio dell’esistenza, attingendo alla
memoria di un vissuto rielaborato o all’attesa di mondi inesplorati,
sconosciuti e nuovi (pp. 248-249). Questo
significa che laddove l’esperienza si fa incomunicabile (perché è troppo
dolorosa, come quella dei reduci del
primo conflitto mondiale, citata da Benjamin, p. 248), non ci può essere narrazione, ma
solo documentazione.
L’arte
del narrare, secondo l’autore del saggio (che risale al 1936), è ormai sulla
via del tramonto, sostituita dall’informazione e ancor prima dal romanzo: quest’ultimo
non ha la forma dell’oralità, affidato com’è alla parola stampata; ha un inizio
e una fine e non può quindi continuare come avviene per una storia vissuta;
ancora e infine non dispone dell’autorità del racconto che consegna un’esperienza
personale, salvandola così dalla “potenza della morte”.
“Nessuno – dice Pascal – muore così povero da non lasciare nulla in eredità” (p. 263). La trasmissione dei ricordi e la capacità di fare della vita - intreccio di esperienza propria e altrui - un racconto sono i contrassegni del narratore, figura paragonabile a quella del maestro e del saggio che ha lasciato, nel nostro tempo spezzato e disincantato, l'esile traccia della nostalgia.
Perché il faraone rimane muto di fronte all’umiliazione e alla condanna dei propri figli, mentre piange dinnanzi alla prigionia di un suo vecchio servo impoverito? Montaigne propone una sua esegesi: «Poiché traboccava già di cordoglio, bastava una piccola aggiunta perché quello spezzasse i suoi argini».
Wassily Kandinsky, Montagna blu (1908-9) |
L’attenzione di Benjamin – all’interno del suo saggio – non è tanto rivolta al contenuto del racconto, quanto piuttosto alla forma. La narrazione è ciò che Benjamin assume come centro del suo discorso. Mentre l’informazione esaurisce immediatamente il suo effetto una volta data, la narrazione dura, perché contiene un messaggio sapienziale: una morale, un’istruzione, una norma di vita, un consiglio per chi ascolta (cfr. p. 250). Se l’informazione deve essere plausibile e immediatamente controllabile, la narrazione può attingere al meraviglioso, al mitico, all’immaginario.
Wassily Kandinsky, Donne verdi (1907) |
Non è un caso che il saggio Il narratore sia dedicato a Nicolaj Leskov, scrittore russo di racconti, con una sensibilità religiosa simile a quella di Dostoevskij, poiché proprio la parola “sacra” ha questo carattere rivelativo per chi ascolta. Nel Talmud babilonese (b.Sanhedrin, 34a.) si legge: «Un maestro della scuola di Rabbi Ishmael ha insegnato: “Non è forse così la mia parola: come il fuoco, oracolo del Signore, e come un martello che frantuma la roccia? (Ger 23, 29). Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure da un solo versetto scaturiscono sensi molteplici».
Wassily Kandinsky, Paesaggio con torre (1908) |
“Nessuno – dice Pascal – muore così povero da non lasciare nulla in eredità” (p. 263). La trasmissione dei ricordi e la capacità di fare della vita - intreccio di esperienza propria e altrui - un racconto sono i contrassegni del narratore, figura paragonabile a quella del maestro e del saggio che ha lasciato, nel nostro tempo spezzato e disincantato, l'esile traccia della nostalgia.
Wassily Kandinsky, Coppia a cavallo (1906) |
📝 Nota.
Volutamente, in questo articolo, non si è fatto riferimento alla riproposizione de Il narratore, curata e commentata da Alessandro Baricco per Einaudi nel 2011, preferendo proporre una lettura del tutto svincolata da tale discussa riedizione.
Un giorno ricco!
RispondiElimina"Come questo martello sprigiona molte scintille, così pure da un solo versetto scaturiscono sensi molteplici...": ricchezza racchiusa in ogni autentico racconto. Grazie Gianni per la tua vigile presenza e interazione.
EliminaBenjamin, che sappiamo contrario alla " riproducibilità tecnica", vuole recuperare un senso ancestrale della parola e sceglie la narrazione. Le inter relazioni dicono che , provenienti dal mondo ebreo, risente di certe fonti, ha alle sue spalle fonti sapienziali. Nella tradizione filosofica, azzardo ad aggiungere, Platone aveva preferito il mito ( e in seconda battuta il dialogo ) per affrontare i temi dell'Assoluto, del Bene. Famosa la sua diffidenza verso la scrittura, sulla scia di Socrate.... e su certi temi ci sono "libri non scritti".
RispondiEliminaLa chiave di volta, come dice Rossana, sondando il parere di Pascal, è il "tesoro nascosto", il piano incomunicabile, descrittivamente, razionalmente, geometricamente, dello Spirituale.
Ancora a lungo si può ragionare sullo spunto....ad esempio : direi che una certa tendenza a concepirà la storia come narrazione si basa sulla
qualità, irraggiungibile della narrazione.
Infine - ci rincuora ciò- la menzione al quid ( la traccia ) che resta del nostro passaggio esistenziale, compreso e trasmesso dalla narrazione.
Grazie Rosario, hai colto, come sempre, punti cruciali: per esempio il primato dell’oralità sulla scrittura, relativamente al racconto, che Benjamin sottolinea nel saggio e che io ho lasciato piuttosto implicito.
EliminaGentile Rossana, i suoi post mi schiudono mondi preziosi non ancora esplorati. Grazie di cuore.
RispondiEliminaNe sono davvero onorata. Poter comunicare mondi preziosi a chi sa coglierli ed apprezzarli è per me un dono senza prezzo.
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