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venerdì 12 aprile 2019

“SCUOLA MIGRANTES", integrazione linguistica ed inclusione sociale interculturale.

Imparare la lingua italiana è il primo passo verso l'inclusione.
Post di Gian Maria Zavattaro

Katholieke Illustratie
(settimanale olandese), 
Autore ignoto, Emigranti, 1894
Siamo un gruppo di volontari, credenti e non credenti: Giorgio (diacono),  don Edmondo (presbitero, Direttore dell’Ufficio diocesano Migrantes), Claudio (responsabile di “Noi siamo”), Elena (segretaria e codocente) Gian Maria (docente), Giuliano (coordinatore), Joulie (segretaria e codocente), Letizia (docente),  Lucia (segretaria e codocente), Marina (docente), Monica (docente),  Rosa (segretaria), Rosella (docente).
Insieme abbiamo deciso di dar vita,  sotto l’egida dell’Ufficio diocesano “Migrantes” diretto prima da Giorgio ed ora da don Edmondo,  ad una scuola di italiano rivolta  in primo luogo ai rifugiati  accolti nello Sprar e Cas di Albenga, ma aperta a tutti, stranieri e cittadini italiani interessati ad imparare od approfondire la lingua italiana. Alcuni di noi da anni erano operativi; come “scuola Migrantes” lo siamo  dal marzo 2018.
Ciò che unisce noi volontari - ognuno  con la sua identità e diversità - è il valore dell’accoglienza, cioè la volontà di vivere una concreta  consapevole solidarietà (“l’altro non mi è indifferente”) mettendo a disposizione competenze e conoscenze a chi è fuggito dalla guerra dalla fame da violenze inenarrabili  perché possa assicurarsi il possesso della parola (la lingua italiana) condizione indispensabile per prevenire la marginalizzazione, consentire una reale inclusione ed appartenenza alla comunità territoriale, cercare e trovare un  lavoro dignitoso, esercitare i diritti e doveri di cittadinanza attiva nel segno di una reciproca integrazione culturale sociale valoriale, rispettosa sia di ogni identità e differenza sia del nostro contesto culturale, storico, giuridico.
La scuola di fatto svolge anche un ruolo suppletivo a pubbliche carenze: il CPIA di Albenga, per quanto ci risulta, non accoglie stranieri adulti analfabeti o semianalfabeti.
Sia ben chiaro: la nostra non è scuola dello “scarto”. E’ certamente degli “ultimi e dei penultimi”,  ma è soprattutto:
-  luogo di  forti  richiami  all’ospitalità  dello “straniero”,
- luogo della realizzazione del diritto di ogni persona allo studio ed all’apprendimento sino all’eccellenza,
- luogo in cui a fare il buon insegnante non vale solo il possesso di requisiti formali ma, sulle scia di don Milani, conta l’intensità del “far scuola”, l’I Care, la passione di educare, la capacità di leggere negli sguardi dei nostri “studenti” i loro bisogni, reinventando ogni giorno l’ambiente classe e la relazione didattica, adattando  la nostra azione  alle forze ed alle debolezze di ciascuno, perché ognuno possa emozionarsi,  sorprendersi, andare oltre, fare un passo avanti nella scalata delle difficoltà dell’integrazione. 
- luogo in cui si annuncia la speranza e in cui “si vede quel che non è ancora e che sarà, si ama quel che non è ancora e che sarà”. 
- luogo dove si fa sul serio cultura, che è “possedere la parola e appartenere alla comunità”.
- luogo della reciproca integrazione perché insegnare italiano ai nostri rifugiati significa al tempo stesso imparare, essere educatori ed educandi,  dare e ricevere. 
- luogo in cui  è fondamentale il clima di relazione empatica, di reciproca fiducia e comprensione, ma anche di precise regole da rispettare. 
- luogo in cui si testimonia nell’agire quotidiano un  modello critico alternativo a quello del mercato e del profitto individualistico: la gratuità, modalità relazionale ricca complessa anche paradossale come l’amicizia, la fiducia, l’ospitalità, il prendersi cura dell’altro.
La nostra scuola accetta chiunque si presenta, a qualsiasi cultura o fede od etnia appartiene, ogni giorno riproponendo un clima conviviale che invita all’impegno ed alla fatica con la forza del sorriso, che non teme le differenze, che anzi sa gestirle, che fa delle nostre ore un reciproco dono da condividere insieme dove  nessuno viene relegato in un angolo.
Siamo una bella squadra. Ma una piccola squadra.
Abbiamo bisogno di volontari giovani adulti ed anziani che vogliano camminare insieme a noi ed i nostri amici rifugiati. C’è posto per tutti,  anche per chi ci sta leggendo in questo momento, soprattutto se giovani, anche per coloro che si sentono impreparati ad insegnare o a svolgere compiti di segreteria o a partecipare al dialogo interculturale. Nessuno è e sarà mai lasciato solo. I volontari già operanti sapranno  gradualmente introdurre, aiutare, seguire nei primi tempi e, se il caso, consigliare i nuovi volontari.. Una bella avventura camminare insieme tra amici! 

Questo articolo è già stato pubblicato sul "Notiziario diocesano Caritas", aprile 2019.

2 commenti:

  1. Se abitassi lì vicino - e se fossi già in pensione - vi direi: ci sono anch'io a dare una mano. Vi sono vicina col cuore e con la mia benedizione.

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  2. Grazie. Un conforto che estenderò agli amici studenti e docenti.

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