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martedì 6 agosto 2019

L'arte della narrazione. Walter Benjamin.

Il valore del racconto sapienziale nella cultura e nella produzione di Walter Benjamin.
Post di Rosario Grillo.


Walter Benjamin, Il Narratore, 
Einaudi, 2011.
La maestria - intendo l’arte di incantare - non è di tutti.
Fa specie riconoscerla in  W. Benjamin, autore il più delle volte ostico ed oscuro.
C’è necessità, prima di tutto, che sia intesa non come ricercata tecnica, ma come una dote naturale. Volendo ancora soffermarci sopra: è un tratto comune alla intellighenzia ebrea.
Benjamin, volle il caso, si muoveva tra la necessità di “scrivere per vivere” e l’intuizione di improvvisi bagliori: immagini e concetti gravidi di profonda verità.
Improntata nel 1936, un’operetta, Il narratore, nel pieno di una riflessione da cui scaturiranno le Tesi sulla filosofia della storia e i Passages.
L’opera è addirittura commissionata, e deve essere un saggio sul romanziere russo Leskov.
L’istanza etico-religiosa spinge oltre Benjamin, e ne vien fuori un sottile concentrato di analisi letteraria con il corredo di massime morali.
(Intendo religiosità in Benjamin, non come ricercata - tanto meno ostentata - corrente di appartenenza, ma come implicanza e vibrazione del suo argomentare).
Egli distingue decisamente la narrazione dal romanzo, riconoscendo la prima debitrice di un legame stretto con l’esperienza e il secondo associato alla figura dell’individuo.
L’esperienza, a cui attinge la narrazione, è l’epos, il racconto popolare: dimostrazione della sua discendenza dalla “sapienza orale”. Come viene confermato dal nesso con la vita artigianale, l’artigiano essendo l’esempio vivente di un concentrato di esperienza collettiva e di sagace trasmissione del sapere. (1)
L’esplicazione è totale quando egli scrive: “Anima, occhio e mano sono collocati… in un solo e medesimo nesso. Influenzandosi reciprocamente, essi determinano una prassi”. (2)
Walter Benjamin, Racconti, 
Einaudi, 2019
Con una punta di nostalgia, del resto, Benjamin descrive l’alienazione della mano, che nella produzione industriale si piega al servizio della macchina e perde il ...filo della natura. Di “voce della natura” aveva prima parlato il Nostro, riconducendola ad una sintonia/rispetto che costituisce saggezza e con essa capacità di “portare consiglio”.
Sono i termini con i quali parla del giusto, attribuendogli la risonanza del tutto nell’uno, cioè la vena mistica.
La conclusione che trae è perciò: “Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso” (3).
Insomma si risente tutto il rammarico per la perdita dell’armonia con la natura (ed anche sociale direi), considerato il passo di carica che sta prendendo la “riproducibilità tecnica”.
Ad arricchire il testo, nell’edizione Einaudi, è il trittico formato da Benjamin Alessandro Baricco e Scuola Holden
A. Baricco accompagna con note ricche e penetranti i capitoletti dell'opera, dichiarando di aver utilizzato questo saggio con gli alunni della scuola Holden, una scuola di preparazione all’arte della scrittura e della rappresentazione scenica.
La scuola Holden, che ha diffuso i suoi centri di preparazione in varie regioni d'Italia,  cura l’iter professionale chiamando in causa parecchi conosciuti autori della letteratura. (4)

🌟 Note.
(1)” Possiamo anzi proseguire e chiederci se il rapporto che il narratore ha con la sua mat, la vita umana, non sia anch’esso un rapporto artigianale. Se il suo compito non sia quello di lavorare la materia prima delle esperienze..” Il narratore, Einaudi, p. 85.
(2) idem, p. 85.
(3) idem, p. 86.

4 commenti:

  1. Ho letto con attenzione e piacere, da profano quale sono circa il tema da te affrontato. Perciò mi soffermo unicamente su alcuni flash che ho colto: 1. “la necessità di ‘scrivere per vivere’ e l’intuizione di improvvisi bagliori” : vorrei aggiungere dal mio punto di vista, la necessità di leggere (nel più ampio significato) per vivere” Oggi per me non è facile spiegarlo. Ma leggere la narrazione non è a sua volta una forma di narrazione? Il leggere quasi un inconscio esercizio spirituale dove tutto si fa vivo ed il sovrapporsi e trasportarsi in altri mondi fanno “pensare” insieme alla meraviglia di incontri inaspettati, a desideri di pace, alla gioia di reciproci doni, ad assaporare tutte le dimensioni della malinconia della gioia del dolore della tristezza dell’allegria della felicità della nostalgia del desiderio dell’amore del rimpianto della speranza…. Appunto “improvvisi bagliori: immagini e concetti gravidi di profonda verità”.
    2. “Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso”. Se tacito è il monito, l’invito è palese, rivolto a noi donne ed uomini della società liquida e del consumismo, a guardare nel profondo oltre le apparenze, a non cedere all’assuefazione del non vedere. Non la lettura-sguardo distratta e superficiale, ma critica ed amorosa, pienamente presente, che sappia disvelare ciò che era celato e nascosto (a-letheia) alle nostre vite di corsa. Da profano quale sono, mi pare che anche il leggere sia narrazione…

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    1. Grazie per la tua “attenzione “, che svela l’implicito della narrazione.
      Benjamin, che era un grande, forte del suo legame - appartenenza con la cultura ebraica, ritorna alle origini dell’epos, celebrando al contempo verità oracolare, oralità del sapere, comunità nel sapere, profondità e Giustizia ( aspetto insito nella Divinità Sapienziale ). Da qui il profluvio delle sfaccettature, che tu hai voluto ricordare ( malinconia, gioia, tristezza...)

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  2. Grazie di quest'approfondimento. Suggestiva l'affermazione: “Il narratore è la figura in cui il giusto incontra se stesso”. Buon mese di agosto.

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    1. Certamente bisogna passare per la cultura ebraica, propria di Benjamin, per intendere a fondo questa frase è , in essa, la congiunzione. Fatto cio, La luce irradia sulla facoltà della narrazione di parlare del giusto. Grazie e buon agosto!

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