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domenica 23 novembre 2014

Alluvioni, frane, disastri ambientali. Provocazione.


La Liguria in ginocchio ... 
(immagine tratta da Riparte il futuro, 
Petizione diretta a Claudio Burlando, 
Presidente della Regione Liguria)
Zona di Albenga.
Zona di Albenga, i danni alle coltivazioni.
Zona San Fedele di Albenga, esondazione.
15 novembre 2014.
“Io rido di un unico oggetto, l’uomo pieno di insensatezza, vuoto di opere rette, puerile in tutti i suoi progetti, che sopporta senza alcun beneficio prove senza fine, spinto dai suoi desideri smodati ad avventurarsi fino ai confini della terra e nelle sue immense cavità… E non sente alcun rimorso a dichiararsi felice, lui che fa scavare a piene mani le profondità della terra da schiavi in catene, di cui gli uni muoiono sotto i cedimenti di un terreno friabile, mentre che, interminabilmente sottomessi a quel giogo, gli altri sopravvivono nel supplizio come in una patria. (…) Della nostra madre terra si fa una terra nemica; essa, che resta sempre la medesima, l’ammiriamo e la calpestiamo. Che risate, quando questi innamorati di una terra estenuante e piena di segreti usano violenza a colei che hanno sotto gli occhi. […] Allora perché, Ippocrate, mi hai rimproverato di ridere? Non c’è uomo che rida della propria insensatezza…”.(Ippocrate, Sul riso e la follia, Sellerio, Palermo, 1991, a cura di Y. Hersant).

N. Moeyaert, Ippocrate e Democrito.

Democrito viene spesso rappresentato 
come il filosofo che ride del mondo e degli uomini ... 
(J. Moreelse, Democrito, particolare)
Il libro da cui è tratta la citazione è stato attribuito al medico Ippocrate del V sec. a.C. e si ricollega alla  leggenda della pazzia ridente di Democrito (460-370 a. C.), il filosofo ridanciano dalla proverbiale bruttezza, denunciatore di tutte le debolezze umane. Così lo descrivono Orazio, Cicerone, Giovenale, Seneca…; così lo presentano i  busti marmorei a noi  pervenuti e la  famosa  incisione di Rubens.

W. Blake, Democrito in una immagine 
ripresa dall'incisione di Rubens.
Come si può evincere  dalla lettura, dopo circa 2.400 anni, nulla di nuovo sul fronte occidentale!
Questo “libro del riso e dell’oblio” assume oggi una sua attualità, anche se al posto del riso  forse sarebbe meglio il pianto od entrambe le cose: ridere alla maniera di Democrito sull’insensatezza di chi poteva e doveva prevenire i disastri; piangere per i drammi e la tragedia di tante persone.

... in contrapposizione al pianto di Eraclito ... 
(J. Moreelse, Democrito ed Eraclito)
Chi è pazzo? Il filosofo solitario che se ne è andato a vivere fuori le mura o noi che facciamo finta di niente e digeriamo ogni sopruso?

Rubens, Democrito.
Chi è il vero malato? Il Democrito di turno o la collettività, ingenuamente ansiosa di guarirlo e di ritornare a farsi gli affari propri?

Bramante, Eraclito e Democrito.
Non so se il riso beffardo di  Democrito si possa considerare un’efficace terapia sociale, ma sicuramente è un genere di riso e follia che non è il  sorriso della pietà, della tenerezza, dell’umanità caritatevole, dell’innocenza ospitale. E’ piuttosto il pianto di una democrazia  tradita, “alla mercé di cattivi coppieri”, come direbbe Platone.
D. Velásquez, Democrito ride
dell'insensatezza del mondo.

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5 commenti:

  1. Difficile attribuire una colpa univoca. Di certo il politico di turno è propenso (in molti casi) a farsi gli affari propri, ma sicuramente una parte della colpa è anche nostra che non dedichiamo abbastanza tempo alla cosa pubblica. Ovviamente non ho tenuto conto di coloro che votano i "soliti noti". Questi ultimi compiacciono i primi quelle due o tre volte in modo da garantirsi il loro voto, in un cerchio senza fine. A loro, a mia personale opinione, va la maggior parte della colpa.

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  2. Probabilmente sarei, però, più intelligente ad attribuire tutta la colpa a me stesso e ad evitare lo "scarica barile", sport molto praticato in questi tempi. Se tutti facessimo così probabilmente le cose cambierebbero con molta più semplicità

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  3. E’ vero, caro Matteo. Ci sono sicuramente delle enormi responsabilità politiche nella costruzione dissennata, nello sfruttamento del territorio, nella trascuratezza della cosa pubblica. Però come dici bene nel secondo commento, se tutto questo è avvenuto e continua ad avvenire, è anche perché noi cittadini non abbiamo sufficientemente vigilato, non siamo stati abbastanza sensibili nei confronti del problema ambientale. E non c’è quindi da stupirsi se questa terra meravigliosa che ci ospita e di cui noi dovremmo essere custodi si ribella con i disastri a cui con frequenza assistiamo. D’altra parte questi stessi disastri, se lo vogliamo cogliere, possono rappresentare un richiamo, un invito a cambiare rotta. Ne saremo capaci?

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  4. la più grossa catastrofe è l'atteggiamento comodamente falso-fatalista del tipo "cosa posso farci io da solo?", che è la versione soft di "tanto lo fanno tutti".
    sarebbe da recuperare l'Adriano della Yourcenar quando dice di sentirsi responsabile della bellezza e della bruttezza del mondo, con la consapevolezza che il proprio sforzo ed il proprio contributo ad un mondo più bello vale in realtà quanto quello dell'imperatore

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  5. In pieno accordo con Lei, ritengo che ogni azione od omissione di ognuno di noi, anche quella conclamata come apolitica, non può sottrarsi alla sua rilevanza sociale. Dire “non mi riguarda – cosa posso fare da solo? – così fan tutti” è affermazione eticamente discutibile e sul piano descrittivo proposizione falsa. La politica, cioè gli altri e le connesse interazioni, è dentro ognuno di noi, per quanto si tratti di una relazione estremamente complessa, difficile da padroneggiare. La “politica” non abita solo nel “palazzo” ma nelle situazioni che quotidianamente viviamo. Questa consapevolezza è terribilmente scomoda – e perciò tanti la rimuovono – perché affida ad ognuno di noi una relativa quota di responsabilità in una società sempre più interdipendente: le mie azioni “buone o cattive”, le mie fughe od omissioni ricadono sugli altri, anche se in tempi e distanze che non so prevedere. E non si tratta, a mio avviso, solo di un richiamo morale, ma di un’asserzione sociologica.

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