Un percorso sul doppio con risvolti esistenziali, morali e sociali.
Post di Rosario GrilloItalo Calvino, Il visconte dimezzato |
Nel
seno del Rinascimento, quando si scongela “il cristallo dell’ipse dixit”, che
aveva aggrumato attorno all’aristotelismo scolastico una serie di non possumus, di veti alla libera indagine della
ragione, si usa come “schermo” per avviare l’indagine naturalistica. Il
culmine si raggiunge con la discussione sulla immortalità dell’anima. (1)
In
essa l’aristotelismo rinascimentale suggerisce ipotesi suggestive come quella
in cui l’anima, corpo naturale, “profuma d’eternità” (2).
I
neoplatonici si arrangiavano con la distinzione tra anima addita ed anima super-addita (vedi pampsichismo).
In
ogni caso, la dottrina della doppia verità fu strumento per ripararsi dalle inchieste
della Inquisizione. Per questo motivo si passò alla distinzione tra verità di
ragione e verità di fede.
La
questione, che sembra super specialistica, destinata agli ostinati cultori
della filosofia teoretica, nella realtà è molto prossima a vicende esistenziali
e alla pratica sociale.
Nelle
prime, l’essere umano, contrassegnato dalla sua finitezza, si trascina dietro
il paravento delle molteplici scusanti per attutire il tonfo delle sue cadute
(3).
Nella
seconda, son frequenti i voltafaccia, le doppie misure... e l’abito del
conformismo è confezionato, per la gran parte, con le ambiguità.
È
anche vero che nel senso comune si prova un certo ribrezzo per l’uomo “tutto
d’un pezzo”: irrigidito in un certo perbenismo. Anche se, a guardare bene,
qui viene segnato a dito il puro conformismo. (4)
Trovo
spunti nel Vangelo di Luca (Lc 3:10-18). Giovanni Battista risponde, agli
interrogativi di coloro che accorrevano per il battesimo (alla Verità) e
chiedevano lumi sulla condotta più giusta, raccomandando di mantenere fede al Dovere senza deviare, senza doppi fini.
Ciò
che dovrebbe essere naturale, è quindi difficile!
Mi
vien da pensare che tra Verità e Giustizia non passa differenza e che Giustizia
ha a che vedere con la linearità di vita.
La
dottrina di San Tommaso, aggiungo, si distingue per la rivisitazione in chiave
cristiana della dottrina aristotelica. Così facendo, San Tommaso iscrive nella lex naturalis il crisma Divino e, con
esso, la virtù della Giustizia.
Io
andrei più a fondo, fino a recuperare le note arcaiche della mitologia greca,
per evidenziare un’idea regolativa dirimente: la misura come osservanza del limite. Omero prima e poi i
presocratici (tra essi in ispecie, Anassimandro, Eraclito, Pitagora e Democrito) hanno tematizzato, in questo senso, il
“Logos”, la legge: come
misura del limite. E indicato all’uomo
il rispetto del nomos.
È
d’aiuto, inoltre, riflettere sulla relazione tra Uguaglianza e Giustizia ed avvertire che alla uguaglianza
esteriore, perseguita con regolamenti socio economici, corrisponde una
uguaglianza interna a ciascun essere umano. Essa, presa in esame, ci convince
della virtù insita nell’unità
dell’essere umano, distogliendo dalla doppiezza
(5).
L’uguaglianza
interna ci riporta, infine, alla coerenza e al rigore.
Era
ciò che i Greci insegnavano con Il motto “conosci
te stesso”. È il senso recondito della
Libertà, provvista di spirito
cristiano, laddove la radice perenne del male morale è il
narcisismo. (6)
🌟Note
(2) Si veda la dottrina di
Pietro Pomponazzi.
(3) La psicanalisi ha esplorato e confermato
la casistica, mettendo in luce l’influenza dell’inconscio, apparato
pulsionale, frenato e plasmato dalla società mettendo a frutto l’azione dell’Io e
del super-Io.
(4) Calvino, quasi per scherzo, quasi per
gioco, comincia a raccontare le fantastiche avventure di Medardo di Terralba,
che una cannonata turca divise a metà.
«Dimidiato, mutilato, nemico a se stesso è l’uomo contemporaneo - scrive Calvino raccontando la genesi di questo romanzo - Marx lo disse alienato, Freud represso, uno stato di antica armonia è perduto, si aspira ad una nuova completezza. Il nocciolo ideologico-morale che volevo dare alla storia era questo. Ma più che lavorare ad approfondirlo sul piano filosofico, ho badato a dare al racconto uno scheletro che funzionasse come un ben connesso meccanismo e carne e sangue di libere associazioni d’immaginazione lirica».
Inoltre, secondo Calvino, è "male" anche l’atteggiamento acritico dell’individuo dinanzi ai mali del mondo, è "male" il conformismo, che fa dell’essere umano un semplice meccanismo passivo della società. Critica e anticonformismo quindi vanno al di là della nozione del "bene" quale è comunemente intesa, e coinvolgono sia la Famiglia che il Potere e la Società stessa. Il "bene" è quindi l’accordo tra l’individuo e la società che lo circonda, ma un accordo sottoposto a vaglio, una visione libera della realtà, non priva di ribellione, se necessario, e di innovazioni anticonformiste. Il "bene" insomma non deve essere individuato nelle sdolcinature della parte "buona" del Visconte dimezzato, perché la bontà acritica raggiunge i limiti della dabbenaggine e della passività. Il bene deve essere accompagnato dalla coerenza e dal giudizio, dall’"esserci". E questo ci porta al "male maggiore", denunciato allegoricamente da Calvino nella trilogia di cui il romanzo fa parte, l’alienazione dell’individuo "nemico di sé stesso" e quindi di tutto. Per reagire all’alienazione, all’indifferenza, non resta all’uomo moderno che la ricerca del "solo bene" che conti (secondo Calvino) e cioè dell’interezza e della libertà, uno stato d’antica armonia perduta tra individuo e società, tra uomo e mondo.Per una breve bibliografia sul tema del doppio cfr. qui.
«Dimidiato, mutilato, nemico a se stesso è l’uomo contemporaneo - scrive Calvino raccontando la genesi di questo romanzo - Marx lo disse alienato, Freud represso, uno stato di antica armonia è perduto, si aspira ad una nuova completezza. Il nocciolo ideologico-morale che volevo dare alla storia era questo. Ma più che lavorare ad approfondirlo sul piano filosofico, ho badato a dare al racconto uno scheletro che funzionasse come un ben connesso meccanismo e carne e sangue di libere associazioni d’immaginazione lirica».
Inoltre, secondo Calvino, è "male" anche l’atteggiamento acritico dell’individuo dinanzi ai mali del mondo, è "male" il conformismo, che fa dell’essere umano un semplice meccanismo passivo della società. Critica e anticonformismo quindi vanno al di là della nozione del "bene" quale è comunemente intesa, e coinvolgono sia la Famiglia che il Potere e la Società stessa. Il "bene" è quindi l’accordo tra l’individuo e la società che lo circonda, ma un accordo sottoposto a vaglio, una visione libera della realtà, non priva di ribellione, se necessario, e di innovazioni anticonformiste. Il "bene" insomma non deve essere individuato nelle sdolcinature della parte "buona" del Visconte dimezzato, perché la bontà acritica raggiunge i limiti della dabbenaggine e della passività. Il bene deve essere accompagnato dalla coerenza e dal giudizio, dall’"esserci". E questo ci porta al "male maggiore", denunciato allegoricamente da Calvino nella trilogia di cui il romanzo fa parte, l’alienazione dell’individuo "nemico di sé stesso" e quindi di tutto. Per reagire all’alienazione, all’indifferenza, non resta all’uomo moderno che la ricerca del "solo bene" che conti (secondo Calvino) e cioè dell’interezza e della libertà, uno stato d’antica armonia perduta tra individuo e società, tra uomo e mondo.Per una breve bibliografia sul tema del doppio cfr. qui.
(5) È forse opportuno esplicitare che nel
concetto del Doppio, come lo si è
esaminato, non è assolutamente inclusa la Alterità, che ha ben altra dimensione
(e molto virtuosa).
(6) Per Rank la figura del Doppio altro non
è se non un “simbolo” dell’amore che l’io prova per se stesso; l’incapacità di
amare - costante di tutti i protagonisti di opere fondate sul tema del Doppio -
coincide, con uno sviscerato amore «narcisistico per la propria immagine e per
il proprio io», con una condizione di egocentrismo, al punto di vedersi anche
fuori di sé, nonché di essere incapaci di poter amare qualcuno che non sia il
proprio io. Questo «atteggiamento erotico» verso il proprio io è, altresì,
possibile solo poiché i sentimenti distruttivi e negativi vengono scaricarti
sul perturbante alter ego. Eppure qualcosa in questi Narcisi si oppone
all’esclusivo amore per se stessi: il narcisismo viene rimosso o attraverso «la
paura e la ripugnanza per la propria immagine», la quale inizia a perseguitare
l’io, oppure attraverso «la perdita dell’ombra e del riflesso» (Rank O.,
1914). Cfr. www.steteofmind.it.
⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐
⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐⭐
Bellissimo, bellissimo. l'ho letto stamattina.
RispondiEliminaCome una buona colazione: aiuta ad affrontare la giornata!
EliminaGrazie del complimento: gradito ��
Da leggere e riflettere in questa stagione troppo conflittuale.
RispondiEliminaVoglio appunto dire che il conflitto è dentro noi stessi, ma c’e modo di scioglierlo!
EliminaNon deve esserci, in nessun modo,nel mondo esteriore, almeno nella forma permenente che rischia di prendere. Mi sforzo di indicare , sul terreno della filosofia, la dialettica, come metodo efficace di composizione del conflitto; sul terreno dell’esistenza, le virtù cardinali ( fede, speranza e carità) come risorse vincenti.
Grazie 😊
Sì - riflettere - è esatto.
RispondiElimina🌹
EliminaDa leggere e rileggere!
RispondiEliminaGraditissimo🌹
EliminaMolto bello e chiaro. Ma come tutte le riflessioni che hanno a che vedere con l'uomo, più che dare risposte certe, univoche, pone dei problemi. Per esempio laddove dice che compito dello Stato è far rispettare la legge, il nomos. E se la legge è ingiusta, ma pur sempre legge? Già i Greci avevano posto il problema col mito di Antigone, tornato, purtroppo verrebbe da dire, in auge in queste settimane. Come si risolve il dilemma? Comunque, grazie, Rosario, per i sempre interessanti, profondo e stimolanti interventi.
RispondiEliminaIn tempi recenti abbiamo avuto modo di rivivere il conflitto nomos/ natura, sulla pelle degli immigrati e c’è in circolazione un appello con la dicitura “ io sto con Antigone “.
EliminaAnch’io sto con Antigone, perché non si tratta di osservare solamente il “ dura lex sed lex “, ma di rispettare innanzitutto l’Umanita’
Concordo pienamente. Mi riferivo proprio a questo problema, sorto con la promulgazione di una "legge" quale il "decreto sicurezza" che ha mosso reazioni di vario segno. Non voglio, comunque, "abbassare" il livello della discussione che hai avviato con il tuo bel post chiamando in causa questioni contingenti. Solo una riflessione: il punto di partenza sta nei principi cui la legge si ispira, primo fra tutti l'Umanità (come la definisci giustamente nella tua risposta), che dovrebbe essere un principio condiviso universalmente e che ingloba tutti gli altri, a partire dal rispetto della dignità della persona, senza discriminazioni
EliminaTra le tante riflessioni che proponi ne colgo una in particolare: “ nel concetto di Doppio non è assolutamente inclusa la Alterità”. L’assenza dell’Altro, anzi la sua espulsione, cifra del narcisismo secondario e della sua scissione schizofrenica, è lo tentazione perenne per ognuno, che si coniuga con la menzogna, l’ipocrisia, l’apparenza, la retorica del vuoto di parresia… Oggi, mi pare, trova vistose ed acclamate manifestazioni a dir poco preoccupanti ad ogni livello: reale e virtuale, individuale, interpersonale, sociale, politico, religioso. Tanto più valido oggi il “conosci te stesso” come condizione di liberazione etica da questa insidiosa alienazione. Grazie, caro Rosario.
RispondiEliminaTi ringrazio di esserci tornato su, perché nel post ho accennato di sfuggita per non appesantire. Il doppio dentro di noi è tutt’altra cosa che la dualità con la quale l’io si accompagna all’altro : misi radi fratellanza, regola di Vita.👋
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