Una rivisitazione de "Un paio di scarpe" di Vincent Van Gogh.
🖊Post di Rossana Rolando 🎨Immagini dei dipinti di Vincent Van Gogh.
Un paio di scarpe, 1886, Van Gogh Museum, Amsterdam |
In questo ideale confronto le posizioni
di Heidegger e Lacan si contrappongono senza escludersi.
Per il primo le scarpe, nel momento in cui sono assunte come oggetto dell’opera d’arte, non sono più semplici mezzi da utilizzare, ma assurgono a segni di interi mondi di senso: sono le scarpe contadine che rimandano alla “fatica dei ritmi del lavoro”, alla “durezza dei passi tra i solchi”… in esse “vibra il richiamo scabro della terra, il maturare silenzioso delle sue messi”… attraverso esse sentiamo respirare “l’apprensione, senza lamenti, per la sicurezza del pane, la gioia, senza parole, per lo stato di bisogno nuovamente superato, il trepidare nell’imminenza della nascita e il tremare nell’avvolgente minaccia della morte” (1).
Per il primo le scarpe, nel momento in cui sono assunte come oggetto dell’opera d’arte, non sono più semplici mezzi da utilizzare, ma assurgono a segni di interi mondi di senso: sono le scarpe contadine che rimandano alla “fatica dei ritmi del lavoro”, alla “durezza dei passi tra i solchi”… in esse “vibra il richiamo scabro della terra, il maturare silenzioso delle sue messi”… attraverso esse sentiamo respirare “l’apprensione, senza lamenti, per la sicurezza del pane, la gioia, senza parole, per lo stato di bisogno nuovamente superato, il trepidare nell’imminenza della nascita e il tremare nell’avvolgente minaccia della morte” (1).
Campo di grano con volo di corvi, 1890, Van Gogh Museum, Amsterdam |
Secondo l’interpretazione di Heidegger
la verità del paio di scarpe non risiede nella descrizione che potremmo fare
del loro uso, a tutti ben noto, ma nell’apertura di significati che esse ci
dischiudono attraverso il dipinto. In questo consiste la potenza rivelativa
dell’arte.
Al contrario, per Lacan, le scarpe indicano
una nuda presenza sganciata dalla catena dei significanti, pura assenza di ogni
ulteriore rimando. Sono solo e
unicamente scarpe logore, vecchie, abbandonate, sono un resto, un rifiuto, uno
scarto, sono l’equivalente della vita dell’artista, del suo sentirsi gettato e
abbandonato nel mondo, sciolto da tutto e da tutti, in una prossimità continua
con il nulla e con la morte. Meglio di qualsiasi altra immagine esse
rappresentano van Gogh, costituiscono il suo più riuscito autoritratto, come
afferma Massimo Recalcati nella sua ripresa di Lacan (2).
In questa linea interpretativa si colloca
anche il filosofo Karl Jaspers, nel suo
saggio del 1922, dedicato a Van Gogh, quando associa i quadri del pittore alle
poesie tarde di Hölderlin o alla filosofia di Kierkegaard, vedendole
apparentate dallo stesso travaglio esistenziale: nell’opera d’arte s’incarna
“l’esperienza vissuta di una personalità in sfacelo. Come in Hölderlin, sembra
che la corda dello strumento percossa con veemenza esali la sua nota
nell’istante in cui si spezza… Qui il creatore si consuma nell’opera” (3).
La sedia di Van Gogh, 1888, National Gallery, Londra |
In questa seconda linea interpretativa
l’arte è la forma della malinconia, è l’esteriorizzazione del tormento
interiore ed è, nello stesso tempo, possibilità di dominio su di esso, come lo
stesso van Gogh scrive al fratello Theo: “Devo poter esprimere attraverso il
disegno e la pittura quello che ho dentro la mente e il cuore” (4) e ancora: “… lotto con tutta la mia energia per rendermi
padrone del mio mestiere, dicendomi che, se ci riesco, sarà questo il migliore
parafulmine contro il mio male” (5).
☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆☆
Guardando quelle scarpe logore, oggetti
di una quotidianità spoglia e severa, siamo comunque sicuri di immergerci nel
cuore pulsante della vita, sia essa disvelata nel mondo di significati evocato
da Heidegger, sia essa racchiusa nel tormento interiore indagato da Lacan. E
allora è davvero secondario stabilire a chi appartengano quelle scarpe (secondo
l’ironico intervento di Derrida), per lasciare piuttosto spazio alla profondità
del gesto artistico, alla grandezza spirituale ed etica che esso sottende,
lontano da ogni fatuità, moda, vuota superficialità da cui può essere tentata
la ricerca del successo.
Nel settembre del 1885 - anno a cui
risale il primo capolavoro: I mangiatori
di patate - il fratello Theo scrive alla sorella Willemien: “Se [Vincent]
riuscirà nel suo lavoro, sarà un grand’uomo. Quanto al successo mondano… sarà
apprezzato da alcuni, ma incompreso dal grosso pubblico. Tuttavia, verrà
rispettato da coloro che cercano nell’artista qualcosa di più di una
superficiale bravura…” (6).
Autoritratto, 1889, Musée d'Orsay, Parigi |
Il riconoscimento del largo pubblico
arriverà più tardi, quando ormai la vita di Van Gogh - randagia e segnata dagli
stenti - sarà conclusa, nel totale misconoscimento del suo immenso valore.
Dietro l’opera vi è la statura dell’uomo: questo è l’aspetto non scontato che
si cela dietro quel semplice paio di scarpe.
Lo stesso filosofo Karl Jaspers lo
sottolinea nel suo saggio introduttivo all’Epistolario di Vincent e del
fratello Theo: “Queste lettere costituiscono nell’insieme il documento di una
concezione del mondo, di un altissimo pensiero etico, espressione di una
sincerità assoluta, di una fede profonda, di una carità infinita, di una
generosa umanità, di un imperturbabile amor
fati. E’ questa una delle testimonianze più commoventi della nostra epoca.
Questo ethos esiste indipendentemente
dalla psicosi, anzi, in essa si consolida” (7).
Note.
1. Martin Heidegger, L'origine dell'opera d'arte, Christian Marinotti, Milano 2000, p. 39.
2. Massimo Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 118.
3. Vincent Van Gogh, Lettere a Theo, con un saggio introduttivo di Karl Jaspers, Guanda, Parma 1984, p. 21.
4. Ibidem, p. 34.
5. Ibidem, p. 15.
6. Ibidem, p. 36.
7. Ibidem, p. 17.
Note.
1. Martin Heidegger, L'origine dell'opera d'arte, Christian Marinotti, Milano 2000, p. 39.
2. Massimo Recalcati, Melanconia e creazione in Vincent Van Gogh, Bollati Boringhieri, Torino 2014, p. 118.
3. Vincent Van Gogh, Lettere a Theo, con un saggio introduttivo di Karl Jaspers, Guanda, Parma 1984, p. 21.
4. Ibidem, p. 34.
5. Ibidem, p. 15.
6. Ibidem, p. 36.
7. Ibidem, p. 17.
I tuoi post, Rossana, sono sempre di una “delicatezza” speciale!
RispondiEliminaUnici nella propedeutica al sentimento dell’arte.
Pertinenti e suggestivi i rimandi filosofici.
E i tuoi commenti, Rosario, sono sempre quelli di un amico che sa guardare a fondo. Grazie per la tua presenza! Un grande abbraccio.
EliminaGrazie, come sempre.
RispondiEliminaIl grazie è reciproco.
EliminaGrande talento.
RispondiEliminaSì, un artista eccezionale, oggi universalmente riconosciuto... non in vita: quanta sofferenza nella sua biografia (come testimoniano le Lettere a Theo).
EliminaE la sedia? Come è diversa! Disegnata con precisione immersa in una luce serena in un ambiente ben delineato, richiama il riposo al sicuro al caldo di un ambiente familiare.
RispondiEliminaLe scarpe sono scure sfocate poggiate in uno spazio immateriale, si le scarpe possono raccontare il dolore, sono così vicine all'io! Però non trovo che siano uno scarto, un rifiuto.
Un saluto e ...ad altri post!
Bellissima la notazione sulla sedia, forse rimando ad un "luogo" della mente intimo e protetto.Grazie, Gianni, per la tua lettura sempre sensibile all'aspetto estetico. Un caro saluto.
EliminaGrazie a te, Rossana. Veramente.
EliminaBuon fine settimana!
Grazie, forse un po' fuori tema, ma questa bella riflessione mi spinge a condividere un ricordo: la scena finale di un bel film - "Tutto quello che vuoi" - nella quale i vecchi scarponi, ricevuti in dono dagli americani - vero tesoro per un ragazzino impaurito in fuga dalla guerra, tanto da sotterrarli ai piedi di una croce - diventano, da parte del suo vecchio amico poeta, il lascito di una nuova identità per il giovane di borgata che, indossandoli nel giorno della sua dipartita, riceve il senso e la forza per una ripartenza esistenziale.
RispondiEliminaGrazie per il commento e per la condivisione del significativo - vitale - ricordo.
EliminaCara Rossana, i tuoi scritti - mi permetto di passare al tu, dopo la consolidata e stimata frequentazione attraverso il web - mi aprono finestre sul mondo, regalandomi preziosi spunti di riflessione. Van Gogh è speciale: ho avuto la fortuna di ammirare dal vivo tanti suoi quadri ad Amsterdam e ne sono rimasta incantata. Come ben scrivi, i punti di vista di Heidegger e Lacan, più che opposti, sono complementari. E quelle scarpe a me paiono umane, cariche di un misterioso dolore ... Un caro saluto.
RispondiEliminaGrazie Maria, sono felice di passare al tu. In effetti la nostra reciproca corrispondenza tramite i rispettivi blog ci ha permesso di entrare in una relazione "vera" e amicale, a dispetto di tutti i detrattori del web. La tua sintesi finale "scarpe umane, cariche di un misterioso dolore" mi trova in piena sintonia. Un abbraccio, Rossana.
Elimina