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L’anno scorso, il 27 febbraio, moriva a 95 anni il ”re degli indignati” Stéphane Hessel: scrittore controverso, torturato dai nazisti, contrario alla politica di Israele, eroe della rivolta giovanile. Due anni prima nel 2011 aveva pubblicato un “libricino”, INDIGNEZ-VOUS!. Il libro, pubblicato da una piccola casa editrice in soli 8.000 esemplari, ben presto venne riprodotto in circa 200.000 copie che inondarono il mondo occidentale provocando le più disparate reazioni, scatenando accesi e controversi dibattiti. Questo post vuole essere anche un riconoscimento alla sua volontà di indignazione ed al suo richiamo alla speranza (condivisa con E. Morin).
RispondiEliminaCaro Professore,
RispondiEliminaho letto volentieri questo post, al quale, come corollario, aggiungerei due pensieri significativi, attribuiti a S. Agostino: (se mi saprebbe dire se effettivamente sono di Agostino e in caso affermativo, indicare i riferimenti bibliografici di queste citazioni gliene sarei grato)
1) "La speranza ha due figli bellissimi: l'indignazione, di fronte a come vanno le cose, il coraggio, per cambiarle
2) "Non chiamiamo malvagi i tempi: viviamo bene, e i tempi sono buoni; la città è nei cittadini, non nei muri"
Penso che, infatti, la speranza, sia laicamente intesa come atteggiamento che porta a guardare con fiducia al futuro, anche quando tutto sembra farci pensare diversamente, sia come virtù teologale, sia ciò di cui oggi ci sia bisogno, anche come fondamento di un agire pratico che possa, concretamente, portare, in un avvenire non troppo lontano, a frutti di bene e giustizia.
Un caro saluto a Lei e alla Prof.,
Marco
La prima citazione da più fonti è attribuita a S. Agostino ma né Rossana né io siamo pervenuti ad un testo sicuro. La seconda, più volte ripresa, si trova in vari Sermones (in part.: Sermo, 80.8, da completare con Sermo 397, 6.6; vedi anche Sermo 81, 9).
EliminaLa speranza “laica”! Il nostro tempo – con le sue contraddizioni, i suoi fermenti e tensioni, le sue ambivalenze – da una parte esprime una profonda crisi di speranze ( quale futuro per i giovani? Quale il destino dell’umanità?), dall’altra è fortemente caratterizzato da una marcata prospettiva di apertura al futuro nell’orizzonte dell’immanenza. Contraddittoriamente ricorrono e segnano il pensiero ed i costumi odierni sia le categorie del disincanto (rassegnazione, nichilismo, carpe diem, principio del piacere qui e subito) sia del possibile, del non-ancora. C’è disperazione di fronte ad un avvenire minaccioso ed incontrollabile, e c’è speranza che si affida all’utopia, al desiderio pressante di trasformazione del mondo in un futuro non ancora raggiunto, il quale futuro non è soltanto ciò che è oggetto di speranza ma una realtà che ha conquistato il potere sul presente.
La speranza teologale! Il cristiano sa che la speranza che spera non inganna e “non delude” (Rom. 5, 5). Ma a quali condizioni? Essa va oltre la presunzione delle speranze temporali perché in esse non trova la salvezza che attende; le prende però tutte in carico ( le nostre aspettative, le nostre utopie, i nostri insuccessi), le oltrepassa, le porta più lontano, al di qua dunque, ma anche al di là della morte. Ancorata nella fede, il suo fondamento specifico è il Cristo resuscitato, il Dio che risuscita il Cristo, il Dio della promessa di salvezza.
Anch’io vorrei salutarla con una citazione: “La fede vede ciò che è. E la speranza vede ciò che sarà. La carità ama tutto ciò che è, e la speranza ama tutto ciò che sarà” (C. Péguy).