Dicono che ogni favola
abbia una sua “morale”,
esplicita od
implicita.
Quella esplicita?
Non la conosco.
Quella implicita?
Se c’è, chi legge la ricavi.
Una città ligure, Aurora sul mare ... (Marino Di Fazio, Sori) |
... era la vigilia di Natale... (Marino Di Fazio, Davanti all'albero) |
Mancava poco alle cinque del pomeriggio, vigilia di Natale, ad
Aurora-sul-mare, borgo antico, e la gente a frotte si dirigeva verso la piazza
del Municipio, luogo del tradizionale appuntamento natalizio con il Sindaco del
borgo. Era una bella tradizione, voluta da un Sindaco che amava la sua città,
la sua gente e che almeno a Natale auspicava un’immersione corale di umanità,
senza clamori, senza vacui protagonismi, senza inutili discorsi roboanti:
lui così discreto nelle relazioni sociali, semplicemente ma decisamente
interessato ad incontrare volti, a scambiare parole e gesti non rituali
di accoglienza e soprattutto di pazienza verso tutti i cittadini.
... la gente si dirigeva verso la piazza del Municipio ... per incontrare il sindaco... (Marino Di Fazio, Serata in osteria) |
E nevicava, da ore nevicava. Incredibile! Sconcertante!
Non sulle montagne (il che sarebbe normale) dove invece il sole se la
rideva, splendente, ad un tiro di schioppo dal borgo. Era sul mare che
nevicava, sulla spiaggia, sul borgo: folate di fiocchi larghi, fitti, che
imbiancavano tetti, strade, marciapiedi, panchine, barche ormeggiate,
pini, palme, auto, moto, bici…
... e nevicava... da ore nevicava... (Marino Di Fazio) |
In spregio ad una vecchia vecchissima ordinanza
comunale (per la verità il Sindaco già aveva firmato il relativo decreto di
annullamento, a sua volta annullato da un labirintico iter burocratico)
che proibiva qualsiasi nevicata e comminava multe salatissime ai trasgressori.
Perché, si sa, la neve al mare non favorisce il turismo né la circolazione
delle auto né tanto meno la subliminale attrazione di nenie natalizie
generosamente diffuse da tutti i centri commerciali, invasi da folle di turisti
ed autoctoni, famelicamente ansiosi di versare l’obolo delle loro
tredicesime. E così nel silenzio ovattato imposto dalla neve
solo si levava l’assordante urlo dei clacson infuriati
per il traffico bloccato, come succede là dove l’evento neve sorprende chi
non ha la più pallida idea di cosa siano gli spazzaneve, vuoi
manuali vuoi meccanici.
Eppure - per dirla fino ad un certo punto con il poeta,
perché non di sole ma di neve si trattava - s’avvertiva qualcosa di nuovo anzi
d’antico. Aurora-sul-mare d’incanto si era trasformata in un paese
di favole, in cui piccini e grandicelli, giovani ed adulti, un po’ meno
gli anziani, confluivano verso la piazza allegri, spensierati, calpestando con
gusto la bianca farina che subito s’incupiva in prosaica e sporca
fanghiglia. Chi sdrucciolava per terra, chi - ragazzi e ragazze
naturalmente - già lanciava a destra ed a manca palle di neve, chi rispondeva
centrando casuali passanti mentre i veri bersagli si godevano la
scena.
... nel divertimento della neve... Aurora era diventata una città delle favole... (Marino Di Fazio, Giochi di inverno) |
Anche una rappresentanza, in veste ufficiale,
di docenti ed alunni di v. Monteverdi arrancava sulla neve, in testa come
al solito il prof. Cerrione, zaino in spalla e pala
in mano, sorridente,
sollecitando lo studente Rizzoglio, la sua vittima preferita, ad accelerare il
passo. E il preside anch’egli…. Scusate, ma il preside che c’entra in
questa storia? Niente, ma è lui il responsabile di tutto nella scuola, è il
preside che ne garantisce l’anima, così come il sindaco è responsabile della
sua città e della sua anima.
... anche una rappresentanza di docenti e alunni arrancava sulla neve... (Marino Di Fazio, Pellegrini alla Gaiazza) |
Torniamo a noi. Fu proprio il ribelle
Rizzoglio a scoprire in un angolino della piazza uno strano
personaggio, stranamente vestito, circondato da strani oggetti: una culla vuota,
una cassetta piena di stracci, tozzi di pane con cui qualcuno si era
sfamato, bottigliette semivuote con cui qualcuno si era dissetato, rimasugli di
fazzoletti di carta con cui qualcuno si era asciugato le lacrime di
pianto o di riso, un flauto o qualcosa di simile e tanti fili
spezzati, sparpagliati tutt’intorno, che messi insieme magari avrebbero
ricostruito un disegno di cui si erano persi i significati. Non un
accattone, perché non chiedeva nulla; neppure un barbone, lindo com’era;
sicuramente un meteco (leggi straniero), che non diceva nulla ma che non
abbassava lo sguardo, anzi ti guardava dritto negli occhi.
La piazza era un brusio, anzi un vociare, un frastuono di mille voci, che
nell’attesa si intrecciavano e si confondevano allegramente. Fu ancora
Rizzoglio, mentre tutti si affannavano a ritagliarsi uno spazio di respiro
soffiando via i fiocchi di neve, a notare l’arcano: lo strano effetto della
neve attorno al meteco, che non era bianca, ma assumeva i colori
dell’arcobaleno, come le intermittenti luminarie natalizie.
Il Sindaco intanto
era in mezzo alla gente, stringeva mani, accarezzava i bimbi in braccio alle
loro mamme - bimbi e mamme di tutti i colori e di tutte le etnie -,
scambiava battute e sorrisi… Ad un tratto si fermò, sorpreso nello scorgere
lontano il meteco e con un lieve cenno di assenso del capo riprese la
conversazione interrotta.
Fu in quel momento che la folla rimase ammaliata dal
flauto magico del pifferaio: immota e spaesata, frastornata da quella
silenziosa musica che ti rovistava dentro, ti trasportava in mondi diversi e
talmente ti coinvolgeva da portarti con sé su altezze mai viste. Strani
pensieri occupavano la mente ed il cuore della folla. E poi d’un
tratto, come era iniziata, la musica cessò.
Lo straniero, il meteco, se
mai c’era stato, era sparito tra le brume dei fiocchi di neve e là
nell’angolo alcuni bambini, silenti ed operosi, sistemavano un improvvisato
presepio: al centro una culla in attesa del Bambino, una cassetta
divenuta capanna allietata da variopinti panni stesi, statuine (Maria,
Giuseppe, l’asino ed il bue) di pane raffermo, un pozzo ed un ruscello di
plastica dove stagnava l’acqua minerale, fazzoletti di carta che ingenuamente o
genialmente imitavano la neve, uno sproporzionato zampognaro con tanto di
piffero e tanti pastorelli filiformi ricoperti di stracci, non più sparpagliati
ma raccolti intorno alla capanna, secondo un disegno che ognuno
liberamente poteva interpretare.
Era come se tutto quell'insieme
disordinato di cose, di frammenti, di pezzi, si fosse d'un tratto
ricomposto in un ordine, in un'architettura dotata di un senso e di un
significato, insomma in qualcosa di bello.
... la luce si era fatta strana... (Marino Di Fazio, Castello di Guiglia) |
... tutti furono trasportati da una musica ... (Marino Di Fazio) |
... in un mondo di sogno... (Marino Di Fazio, Festa campestre) |
... in un presepe... (Marino Di Fazio, Presepe a Campomorone) |
... un presepe in cui tutto era ricomposto ... (Marino Di Fazio, Presepe) |
Qualcuno parlò di una sceneggiata
orchestrata dal sindaco, ma naturalmente non si poté mai provare nulla,
anzi addirittura si cominciò a dubitare dell’evento stesso, ipotizzando una
comprensibile ma patologica allucinazione collettiva, come capita a coloro
che sotto la neve favoleggiano di avvistamenti degli ufo. Altri sostennero
che la musica non c’entrava per niente: solo una serie di fortuite circostanze,
legate sempre al turbinio della neve. Ma tutti furono d’accordo che
trovarsi tutti insieme avvolti nel niveo biancore iridescente aveva in
qualche modo ricomposto la diaspora delle loro vite in un sentire comune,
in una fusione insondabile di sentimenti ed emozioni che ti
cambiavano dentro.
... che cosa era accaduto quel giorno?... (Marino Di Fazio, Il sole quando nevica) |
Era un po’ come se anche a loro fosse accaduto qualcosa di simile
alla ricomposizione di quello strano presepe, era come se i pezzi staccati,
contrastanti, opposti della loro città si fossero stranamente ricostituiti in
un disegno sensato e armonico. Non illudiamoci, nessuno era
diventato “più buono”, ci voleva ben altro, ma tutto non era più come
prima. La neve, si sa, al mare fa brutti scherzi, specie nel tempo
di Natale, come ad es. udire musiche silenziose, cogliere strane armonie. Forse
anche per questo molti sperano - ed io tra i tanti - che Aurora-sul-mare
abbia presto il suo liceo musicale…
... quale strana, stupenda armonia ... (Marino Di Fazio, Pattinatori) |
C’è una morale? Forse sì,
forse no.
Chi lo sa! Ad ognuno
di noi trovarla…
Il racconto è una nostra libera invenzione. Le meravigliose immagini - sognanti, visionarie, poetiche - raffigurano opere di Marino Di Fazio (sito internet: www.marinodifazio.it, pagina facebook: Marino Di Fazio pittore naif), artista genovese vivente che ci ha autorizzato a pubblicarle sul nostro blog e che ringraziamo vivamente.
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