Sanno
sorridere gli uomini e le donne del nostro tempo? Apparentemente sì: riviste, discoteche,
cinema offrono ovunque immagini o spettacoli
di gente che ride; alla tv non fanno che sorridere in un’inflazione di scherzi televisivi,
barzellettari, gare di umorismo più o
meno raffinato; sulle reti di internet
continuamente
ci viene proposto l’artificio del riso di ogni genere in un’esplosione
quasi orgiastica.
Ridere, ridere, ridere... |
E noi passiamo le serate e la domenica a guardare la tv, a
“chattare” o a fare pellegrinaggi nei nuovi santuari virtuali. Così anche
il riso è diventato business, fa leva sui nostri sentimenti ed emozioni,
gioca sui nostri bisogni primordiali di aggregazione, svago,
rassicurazione.
E’ una permanente ribalta che sbandiera, un duplice riso: la
risata schietta, gustosa (quella che fa
buon sangue), liberante e rasserenante; e il riso invece sguaiato, artificioso,
irridente, che si fa di volta in volta dissacrazione, sarcasmo,
derisione, irrisione,
disperazione.
La risata che ferisce ... |
E’ l’ambiguità del
riso che ogni giorno sperimentiamo, quando un certo modo di sorridere ci
allieta ed esalta o viceversa un ben altro modo si rivela arma
terribile che deprime, mortifica,
ferisce. Entrambi proiezioni di quel che siamo.
Vorrei tuttavia soffermarmi sul
primo sorriso e di questo vorrei parlare:
il bel riso che tonifica la persona, la riconcilia con il
mondo, la restituisce ai suoi impegni. La dimensione ludica del riso è essenziale
ad ognuno di noi: è momento di gratuità, di gioia, gioco, divertimento, serenità,
allegria, libera realizzazione di sé,
aspirazione alla felicità. E’ perciò esperienza estremamente seria: non si
eredita né si compra né si prende in prestito, ma è un’arte da conquistare, che
richiede volti non omologati dalle convenzioni di tutti i giorni, capaci,
sorridendosi, di assaporare insieme qui
ed ora la gratuità della vita.
La dimensione ludica è essenziale (Pieter Bruegel). |
Nel sorriso cadono le difese, si semplificano le
relazioni, si crea una unità unanime che
reclama, nell’incontro di ciascuno con tutti, il gusto del gesto disinteressato che non serve a nulla, che non produce nulla di utile. E’ questo il potere
straordinario del sorriso. Bergson direbbe
che le persone che amano molto sorridono facilmente ed il sorriso ne è testimonianza ed annuncio.
C’è naturalmente
una condizione: ridere innanzitutto di
se stessi e vivere l'umorismo con buon umore. Ma finché nella nostra città ci
scambieremo il dono del sorriso, ci sarà speranza nella reciproca accoglienza.
(Fortunato Depero)
Gentile signor Luca, mi piacerebbe che a intervenire sul suo commento di ieri,
RispondiElimina20/10/2013, fosse qualche altro potenziale lettore. Perciò lo riporto sul blog.
Se lo riterrà opportuno, in eventuali prossime riflessioni, le chiederei di scrivere anche sul blog (oltre che naturalmente su facebook) poiché i lettori
dell’uno non sono gli stessi dell’altro. Sarebbe bello riuscire a creare uno
spazio di confronto e discussione e il suo contributo sempre ricco e profondo
risulterebbe preziosissimo. Ovviamente in piena libertà. So che inserire
commenti su un blog come il mio non è immediato. Già alcune persone mi hanno
segnalato la difficoltà. Perciò penso di pubblicare presto un video guida che
spero possa aiutare tutti coloro che desiderano partecipare a questa piccola avventura - non so per quanto - di ricerca, scambio e possibile condivisione di significati, speranze e dialogo.
Commento del 20/10/2013 di Luca Palazzo su facebook:
RispondiElimina"Ci si potrebbe chiedere se riso e sorriso siano la stessa cosa, o meglio se il sorriso sia solo un debole riso. Io penso di no, o almeno non solo. Il sorriso esprime una gamma più sfumata di sentimenti ed emozioni e di solito rispecchia una situazione di calma interiore. Il riso è alimentato da sensazioni più forti ed è lo specchio di un maggior squilibrio. Squilibrio che non è necessariamente negativo: anzi talvolta il riso rigenera l'equilibrio che non avevamo più. Un altro aspetto interessante del riso è la sua ambivalenza o plurivalenza, come è ben evidenziato dall'opera di Bergson citata nell'articolo di ieri. Il riso non è una funzione univoca del nostro essere. Spesso, aggiungerei, oltre a presentare una vasta molteplicità di significati, risulta strettamente collegato a quello che generalmente è il suo opposto: il pianto. Infatti si "piange dal ridere" o si "ride per non piangere"!