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venerdì 21 marzo 2014

La città nascosta. Calcolare è sognare?


Dicono che ogni favola abbia una sua“morale”,
esplicita od implicita.
Quella esplicita? Non la conosco.
Quella implicita? Se c’è, chi legge la ricavi.

C'era una volta una città 
in riva al mare...

C’era una volta una città, Nottenga, in riva al mare, ad un tiro di schioppo dalle montagne: città triste, dove tutti (uomini, donne, vecchi, bambini, gatti, cani e canarini) non facevano altro che calcolare. 

...in cui tutti non facevano altro 
che calcolare ...
Che cosa? Tutto: altezza, larghezza, lunghezza, cielo, terra, peso, distanze, diete, cibi, bevande, stipendi, conti in banca, spese, affitti e profitti, probabilità,  pro e  contro, vantaggi e svantaggi, conoscenti, amici,  stranieri, numero dei figli, ore di scuola e di lavoro, ferie e festività, serre, fiori, carciofi, asparagi, pomodori, trombette… Tutto. 

... si calcolava tutto ... 
perfino le probabilità... 
Forse che la vita non è altro che un calcolo continuo? Così la gente trascorreva i suoi  oscuri giorni a  Nottenga, calcolando. 

... si voleva solo e soltanto 
calcolare, calcolare, calcolare ..
E per svagarsi rivisitava - perché c’è sempre da imparare! - la mostra permanente “calcolare è sognare” e il monumento ai calculatores di Merton College, oppure computava  i giri delle  pale eoliche al passo di S. Calcolino, il numero degli incidenti mortali e delle frane sulle strade interrotte e... beh, una idea ve la siete  fatta, no?  

... si sognava di calcolare ...
Così si susseguivano i giorni, i mesi, gli anni:  i bimbi crescevano,  gli adulti invecchiavano, i vecchi morivano. E tutti erano infelici, ma era la prassi (in greco "praxis", procedura abituale, consuetudine).


... calcolando si invecchiava 
e si moriva... infelici ...
Poi un giorno il sindaco della città (o era una sindachessa? ...non ricordo!) passando per via dei Mille, all’improvviso capì che c’era qualcosa che non andava: non erano mille nella spedizione di Garibaldi, lo sapevano tutti, eppure si era continuato imperterriti a calcolarne mille e  i conti non tornavano. Possibile che nessuno ci avesse fatto caso?  

...un giorno il sindaco (o la sindachessa?) 
si presentò con una ricca documentazione 
circa alcuni errori di calcolo...
Bisognava provvedere con urgenza. Convocò un consiglio comunale straordinario e fu la fine. Il lucido impietoso intervento dell’ultimo arrivato - un giovane consigliere, fresco della maturità al Liceo della città ed eletto quasi per caso... la solita storia dell’asino che sostituisce il cavallo -  scoperchiò il vaso di Pandora e tolse il velo di Maya: tutto ciò che prima era oscuro divenne chiaro e ciò che prima era lapalissiano apparve insignificante e stupido. 
...gli strumenti di misurazione usati 
fino ad allora non potevano più andare bene...
Smarriti, increduli i consiglieri si accorsero che erano tante, troppe le cose che non si potevano calcolare: i sentimenti e le emozioni che ti cambiano dentro, i pianti e le risa dei bambini,  gli sguardi, gli ammiccamenti, i colori,  le spine dei carciofi,  il violetto degli asparagi,  le mutevoli forme delle trombette, il cuore dei pomodori, il cuore delle persone, la bellezza ruvida dei volti degli anziani, la gente che ricambia un sorriso… Ma come calcolare i sorrisi?  Come calcolare le cose che ti cambiano dentro?

... non servivano per misurare 
i sentimenti, le emozioni ...
Fu così che  il consiglio comunale scoprì  la poesia (dal greco “poiesis”, “creazione”, l’azione appunto che ti trasforma dentro). E dal consiglio comunale - come un’epidemia, una spirale inarrestabile, anzi  una travolgente valanga -  la poesia invase  la città e tutti vedevano tutto in una luce diversa e si respirava un’aria musicale mai provata. 

... erano necessari altri strumenti ...
La gente per strada leggeva (leggeva!!) scambievolmente poesie o  cantava, interpellava di notte la luna e le  stelle, si meravigliava ascoltando il vento e la pioggia.  Insomma gustava la vita.  E il bello era che non si era mai soli, ma insieme, ognuno additando all’altro lo stupore che tutti variamente conquistava. E non è che non si calcolasse più, anzi, ma era diverso: tutto sembrava cambiato,  tutto e niente. I mali, i lutti, le sofferenze continuavano come prima, i problemi  insoluti rimanevano tali, così come  i conflitti e le incomprensioni della vita quotidiana, ma era diverso.
... altri strumenti, insieme e oltre a
quelli utilizzati per calcolare ...
C’era un’aria festante, un po’ “loca”, tanto che il consiglio decise di cambiare il nome della città, troppo tetro e funereo. Pensa e ripensa, l’idea era di suggellare l’inizio di una  rinascita cittadina: un nome che non rinnegasse nulla del buono del passato (quale fosse non fu mai chiarito) ma insieme consacrasse il modo nuovo di vivere la vita tutti insieme: un po’ come il sole,  che dalla notte sempre rinasce  all’alba di un nuovo giorno. Alba!? E allora al giovane consigliere venne un’idea: basta con Nottenga, chiamiamola Albenga!

C’è una morale? Forse sì, forse no. 
Chi lo sa! Ad ognuno di noi trovarla…

 
Tutte le immagini del racconto - frutto di una nostra elaborazione - costituiscono parti dell'opera di Hans Holbein il Giovane, Ambasciatori (1533), sopra riportata.






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5 commenti:

  1. A proposito del raccontare … dalle narrazioni più semplici alle più grandi espressioni letterarie…
    Mi affascina questo pensiero:
    "Il tempo diviene tempo umano nella misura in cui è articolato in modo narrativo …"
    Che cosa avrà voluto dire Paul Ricoeur con questa suggestiva frase (contenuta in "Tempo e racconto", Jaca Book, 1986, p.15)?
    • Forse che il narrare – più del teorizzare - coglie verità profonde e nascoste? E nel racconto si ritrova il tempo vero della vita, tutto quello che vi è di umano nel tempo? E quindi la vita è un racconto in cerca di un narratore?
    • O forse che qualsiasi storia esiste solo quando è raccontata? E che il tempo del mondo vive nella nostra mente e acquista significato nel momento della narrazione? E che solo la narrazione salva il tempo dal nulla?
    • forse ancora che il racconto è il luogo in cui avviene l’incontro tra chi narra e chi ascolta in un intreccio in cui si partecipa del tempo umano e delle sue emozioni?
    • …

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  2. Ho trovato il racconto molto carino.
    Sono 2 i pensieri che desidero scrivere.
    Penso alla città di Albenga sicuramnete più completa e ricca di senso, ma sono incerto sul pensiero del racconto quando leggo “un nome che non rinnegasse nulla del buono del passato (quale fosse non fu mai chiarito)”: spero di non essere banale in questo pensiero, ma desidero fare un elogio anche del calcolo: a partire da qualsiasi tipo di misurazione che consente i lavori più disparati, ai calcoli che il codice dei nostri pc ora sta compiendo per alimentare, leggere, salvare, coordinare le informazioni necessarie ad una pagina web, per non parlare dei calcoli necessari alle apllicazioni più diverse (non solo matematiche, ma ingegneristiche, mediche, fisiche...). La nostra natura (e non solo la nostra società) penso necessiti di norme, organzizzazione, logiche, quindi di calcoli.
    Senza ombra di dubbio gli aspetti nuovi della città di Albenga dello stare insieme e di non abbandonarsi esclusivamente al contare sono il fine ed il senso che vedo chiaro e dovuto: gustare la vita e gioire nello stupore altrui sono manifestazioni necessarie, ma apprezzando ed amando ANCHE (e non SOLO) il calcolo: una città dove poter sognare anche di notte, ecco perchè non sottovalutare Nottenga.

    Secondo pensiero: tovo profondamente interessaente il pesiero che la Rolando condivide.
    E desidero rispondere: penso a me, penso a cosa voglia dire tempo umano e come esso si articoli in modo narrativo. Quindi ho riflettuto su questo. Tra i libri che ho letto, 2 sono per ora i miei preferiti. Come allora ho fatto a dire che sono proprio tali 2 libri i miei 2 preferiti piuttosto che tutti gli altri? Mi sono interrrogato sul metodo con cui ho scelto, e la mia risposta è stata questa.
    Non la storia più bella, non quella più affascinante. Non quella scritta meglio o la storia più avvincente. Bensì, per quanto mi riguarda, le storie che ho sentito più vicino. Che hanno toccato profondamente me stesso. Quelle che quindi hanno messo, oltrepassando libro e secoli di storia, me e l’autore vicinissimi poichè sentivano le stesse cose che ci facevano provare le stesse emozioni. Rispondo quindi che per me il racconto è il luogo in cui avviene l’incontro più intimo tra narratore e lettore, un incontro al di là del tempo umano.

    Infine aggiungo questo minimo contributo, una frase di un film non eccezionale e non so fino a che punto ccondivisibile, che però mi ero segnato:
    <>.

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  3. "Tra noi una aiuto verrà sempre dato a chi lo richiederà. Mi sono sempre vantato della mia capacità di formulare una frase, le parole sono la nostra massima ed inesauribile fonte di magia, in grado sia di infliggere dolore che di alleviarlo. Ma vorrei modificare la mia precedente frase in questa: un aiuto verrà sempre dato tra noi a chi se lo merita"

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    1. Giovanni Scutiero è stato un mio alunno carissimo al quale rimango molto affezionata. Perciò lo ringrazio per l’intervento su questo post – una bellissima sorpresa! - che non solo è fonte di grande gioia per me (e per mio marito), ma che rappresenta un contributo di riflessione importante per tutti coloro che accedono al blog. Giovanni sottolinea il momento empatico del racconto, quello in cui si sente che si sta narrando di noi … è vero, penso che ogni autentica narrazione debba trascendere il punto di vista di chi narra per comunicare un vissuto che è comune. Su questo terreno credo si giochi la definizione di “un classico”, almeno come io lo intendo: considero “classico” quel testo che mi parla al di là del tempo che intercorre tra me e l’autore perché sa suscitare in me emozioni ed è fonte di significati sempre nuovi. E, probabilmente, oltre ai classici che la tradizione ha consacrato – e che la scuola ci insegna ad amare -, ognuno di noi ha i suoi classici – che la scuola ci insegna a scegliere - … per Giovanni quei due libri preferiti che continuano a parlargli. Mi viene in mente Italo Calvino, in «Perché leggere i classici»: «I classici sono quei libri di cui si sente dire di solito: “Sto rileggendo” e mai “Sto leggendo”». Ciao Giovanni, un forte abbraccio.

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