Riproponiamo oggi, 17 aprile 2020, questo articolo sul racconto della lumaca, metafora della lentezza, in omaggio a Luis Sepúlveda.
Post di Rossana Rolando.
«..la lumaca ... non riuscì a conciliare il sonno
perché nel guscio era assediata da troppe domande ...»
perché nel guscio era assediata da troppe domande ...»
Omaggio a Sepúlveda |
Perciò si può dire che la fiaba della lumaca di Sepúlveda appartenga al genere sapienziale: può considerarsi una sorta di parabola laica, portatrice di valori universali che suggeriscono un modo nuovo di vivere e di condividere.
A queste notazioni si aggiungano la sveltezza e la piacevolezza della lettura, resa agile da uno stile che Italo Calvino avrebbe lodato come “leggero”, perché sottratto alla pesantezza e perché capace di togliere peso.
Il racconto
«In un prato vicino a casa tua o a casa mia viveva una
colonia di lumache sicurissime di trovarsi nel posto migliore del mondo.
Nessuna di loro si era mai spinta fino al limitare del prato …».
Il prato è simbolo delle proprie sicurezze, di ciò che
conosciamo e a cui siamo abituati …
«Fra loro si chiamavano semplicemente “lumaca” e questo a volte creava qualche confusione, risolta con grande flemma. Succedeva, per esempio, che una del gruppo volesse parlare con un’altra, allora sussurrava: “Lumaca, voglio dirti una cosa”, e questo bastava perché tutte le altre girassero la testa».
Le lumache non hanno nome: è l’anonimato che regna nel gruppo, finché si rimane nella massa, omologati.
«Le lumache sapevano di essere lente e silenziose, molto lente e molto silenziose, e sapevano anche che quella lentezza e quel silenzio le rendevano vulnerabili… Per evitare che la lentezza e il silenzio le impaurissero preferivano non parlarne, e accettavano di essere come erano con lenta e silenziosa rassegnazione».
Le lumache preferiscono non parlare della propria condizione: conducono la vita rassegnata di chi non si pone più domande.
«Fra loro però c’era una lumaca che, pur accettando una vita lenta, molto lenta, e tutta sussurri, voleva conoscere i motivi della lentezza».
Tra esse c'è una lumaca che non si adegua, non si rassegna, non si omologa: è il segno della resistenza.
«La lumaca che voleva conoscere i motivi della lentezza non aveva un nome, come del resto non lo avevano le altre lumache, e questo la preoccupava molto. Le sembrava ingiusto non avere un nome …».
Uscire dalla omologazione, dal gregge, significa avere un nome, conquistarsi un’identità.
«Senza mai smettere di mangiare, le altre lumache videro allontanarsi la lumaca che voleva conoscere i motivi della lentezza e anche avere un nome, lentamente, molto lentamente, fino a sparire dietro le erbe più alte del prato».
[La lumaca incontrerà la tartaruga Memoria, riceverà il nome di Ribelle, capirà che la lentezza era stata la condizione dell’incontro, della comprensione del proprio compito, della risposta alle proprie domande, della salvezza delle sorelle formiche, dei fratelli bruchi... e delle lumache, e ancora del raggiungimento della propria identità].
Conquistare la propria identità significa intraprendere un viaggio.
[Al termine del suo itinerario la lumaca che si era conquistata un nome dirà: ho imparato che il Paese che cerchiamo, quello che con forza desideriamo, risiede dentro di noi].
«Fra loro si chiamavano semplicemente “lumaca” e questo a volte creava qualche confusione, risolta con grande flemma. Succedeva, per esempio, che una del gruppo volesse parlare con un’altra, allora sussurrava: “Lumaca, voglio dirti una cosa”, e questo bastava perché tutte le altre girassero la testa».
Le lumache non hanno nome: è l’anonimato che regna nel gruppo, finché si rimane nella massa, omologati.
«Le lumache sapevano di essere lente e silenziose, molto lente e molto silenziose, e sapevano anche che quella lentezza e quel silenzio le rendevano vulnerabili… Per evitare che la lentezza e il silenzio le impaurissero preferivano non parlarne, e accettavano di essere come erano con lenta e silenziosa rassegnazione».
Le lumache preferiscono non parlare della propria condizione: conducono la vita rassegnata di chi non si pone più domande.
«Fra loro però c’era una lumaca che, pur accettando una vita lenta, molto lenta, e tutta sussurri, voleva conoscere i motivi della lentezza».
Tra esse c'è una lumaca che non si adegua, non si rassegna, non si omologa: è il segno della resistenza.
«La lumaca che voleva conoscere i motivi della lentezza non aveva un nome, come del resto non lo avevano le altre lumache, e questo la preoccupava molto. Le sembrava ingiusto non avere un nome …».
Uscire dalla omologazione, dal gregge, significa avere un nome, conquistarsi un’identità.
«Senza mai smettere di mangiare, le altre lumache videro allontanarsi la lumaca che voleva conoscere i motivi della lentezza e anche avere un nome, lentamente, molto lentamente, fino a sparire dietro le erbe più alte del prato».
[La lumaca incontrerà la tartaruga Memoria, riceverà il nome di Ribelle, capirà che la lentezza era stata la condizione dell’incontro, della comprensione del proprio compito, della risposta alle proprie domande, della salvezza delle sorelle formiche, dei fratelli bruchi... e delle lumache, e ancora del raggiungimento della propria identità].
Conquistare la propria identità significa intraprendere un viaggio.
[Al termine del suo itinerario la lumaca che si era conquistata un nome dirà: ho imparato che il Paese che cerchiamo, quello che con forza desideriamo, risiede dentro di noi].
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Papavero e lumaca
RispondiEliminaBagliore e lentezza.
Il tempo dei papaveri è rapido, pochi mesi nei quali declinare a più non posso, metafore di selvaggeria, di delicatezza, di fragilità, di tripudio e fulgore ma tutto nella cornice effimera della caducità.
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Grazie Laura. Buona domenica con questo canestro di fiori di Dosso Dossi (ci sono anche i papaveri). Un abbraccio, Rossana.
RispondiElimina[img]http://www.culturaitalia.it/opencms/export/sites/culturaitalia/images/Dosso_Dossi__Giovane_con_canestro_di_fiori.jpg[/img]