Post e iconografia di Rossana Rolando (pensando al nostro recente viaggio nelle Marche, in particolare ad Urbino, per noi legato indissolubilmente alla memoria di Italo Mancini - e non per caso la scelta delle immagini è caduta su Raffaello -, proponiamo sul blog l'introduzione del saggio di Rossana pubblicato nella rivista teologica Quaderni di Scienze Religiose, n. 20 anno
XII 2003, Errebi Grafiche, Ancona 2004, pp. 72-74).
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Raffaello,
Scuola di Atene,
particolare,
Parmenide |
Ho conosciuto Italo
Mancini nella sua casa urbinate in una giornata invernale colorata di nevischio
leggero. Sulla porta nessun titolo, solo il semplice nome. Una grande
biblioteca al pian terreno con studenti alacri e silenziosi e Mancini in mezzo.
Il mio colloquio con lui rimane uno dei ricordi più significativi della mia
vita giovanile. Fui colpita allora – e si parlava del mondo universitario –
dalla pensosità del suo parlare che era appassionato eppure anche disincantato,
con una vitalità non ammuffita dall’inesausto risiedere fra i libri, ma resa da
questo ancor più forte e convincente (nonostante la malattia fosse già
incombente). Mi colpì soprattutto l’uomo: a lui è dedicato questo piccolo
scritto.
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Raffaello,
Scuola di Atene,
particolare,
Claudio Tolomeo |
Ricorrono,
lungo le pagine manciniane, veri e propri tópoi
di quello che ho intitolato “libero sguardo sul mondo”. Mancini sembra talora
scusarsi delle proprie ricorrenze, ripetizioni di espressioni o di citazioni,
ma si tratta di cosa non sgradita al lettore che entra così in una graduale
familiarità con l’autore e soprattutto con il nucleo teoretico da cui
fioriscono via via allargamenti, aperture, approfondimenti, come nello sviluppo
di un tema musicale anticipato e poi indefinitamente ripreso nelle sue mille
possibili sfaccettature (1).
E
conviene allora individuarli subito questi tópoi
sul mondo per meglio chiarire l’angolatura del discorso che si intende qui
ricostruire.
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Raffaello,
Pesca miracolosa |
E’
in primo luogo il mondo profano e libero dal sacro quello che si incontra nelle
pagine di Mancini e la cui cifra è data dal “fresco mondo delle parabole di
Gesù” o dall’immagine biblica dell’ “uomo forte, fra il vento e il sole” o
ancora dalla laicità tutta propria di quel libro veterotestamentario che lascia
al mondo tutto il suo spessore ontologico, senza farne oggetto di
idealizzazione o di segno a predica e che è il Qohelet (2).
E’ la terra degli uomini così com’è, nelle sue croci e nelle sue feste, fra la
caducità del tempo che scorre e la gioia del vivere nel lieto fruire delle
cose. E’ il mondo a-teo, non religioso, non caricato di significati ulteriori,
come sarebbe se esso fosse posto sotto il peso e la violenza del sacro.
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Raffaello,
Sposalizio della vergine, particolare |
E’
in secondo luogo “il mondo feriale e quotidiano, soprattutto nella forma
politica”, considerato come degno della ragione e del suo lucido esercizio (3).
La dedizione di Mancini alla “città dell’uomo” e alla “teoria della terra”
matura e cresce, infatti, accanto al lavoro per la “teoria del cielo”(4).
Lo attesta l’itinerario stesso della sua ricerca, con quella bonhoefferiana doppia
fedeltà che lo ha caratterizzata: la fedeltà a Dio con la passione dell’eterno –
dalla Filosofia della religione (1968)
al Frammento su Dio (2000) – e (passando
attraverso Teologia, ideologia, utopia,
del 1974) la fedeltà alla terra, cui sono dedicati studi insonni nel campo dell’ethos e del diritto – da Negativismo giuridico (1981), poi
ripreso quasi completamente in Filosofia
della prassi (1986), a L’ethos dell’Occidente
(1990), fino al postumo Diritto e
società (1993) - (5).
Il tutto sotto il segno di una cultura militante che fuoriesce dagli spazi
accademici, per legarsi al concreto vivere civile, al cuore “antico” e “sempre
nuovo” della gente (6).
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Raffaello,
Parnaso, particolare |
E’
in terzo luogo il mondo della storia visto come “srotolamento effettivo dell’essere
e non come ripostiglio dei rifiuti” contro ogni forma di nichilismo, sia quello
della destra estrema, tutto legato al passato, sia quello della sinistra
estrema, tutto proiettato nel futuro, senza occhi, in entrambi i casi, per il
presente, sempre e comunque dannato, e per il lento macinare dei secoli (7).
Né “epopea del progresso”, né “sequela decadente di immagini”, ma fonte
inesauribile di significati per la vita: questa è la storia (8).
Perciò è necessario fare seriamente i conti con la produzione culturale del
proprio tempo, con l’Areopago di idee e
di costumi che circonda, per discernere, nella pletora delle informazioni, ciò
che ha valore da ciò che non lo ha. In una nota apparentemente incidentale del
suo Frammento su Dio Mancini
chiarisce bene la differenza fra i molteplici sensi di cui la storia è munifica
e i significati ancor sempre da rinvenire e la pone tutta nella distanza che
passa fra informazione e valore, fa nozione e cosa in cui ne va di noi, per cui
ci si decide (9).
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Raffaello,
Scuola di Atene,
particolare, Pitagora |
In
ultimo, ed è segno biografico, ma non meno importante per dire di questo sguardo
libero e spregiudicato sul mondo, s’intende fare riferimento alle dediche dei
testi manciniani: e sono frasi intrise di una tenera liricità, che si stampano
nella mente di chi legge come piccoli varchi da cui s’intravede l’uomo, quello
vero dietro la pagina scritta che acquista in tal modo tutta la sua verità. E
così non si dimenticano “i viali desertamente vivi di Siponto”, lungo i quali
Mancini ha scritto “in pace e tra gente caramente amica” buona parte di Filosofia della prassi, né la “terra di
Forio d’Ischia tra la quiete delle antiche terme Castaldi e le pietre immani
dei bracci del porto”, in quei “tre roventi mesi di luglio” in cui vede la luce
l’Ethos dell’Occidente o il ricordo
degli studenti di “quell’aula terza, pur grande, la più grande, e strapiena
sempre…”, studenti che si dovrebbero pagare “perché vengano a lezione; ancor
più che per gli esami servono per la maturazione del docente, se vuol essere un
abitatore della città e non un compilatore di formule” (10). C’è
in queste dediche tutto il gusto della bellezza e della dolcezza del vivere, il
fresco e sano sapore della terra, dell’amicizia, del lavoro. Ecco
dunque le suggestioni che mi hanno spinto a definire libero lo sguardo manciniano
sul mondo.
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Raffaello,
Il sogno del cavaliere, particolare |
- Per le
scuse al lettore cfr. I.Mancini, Filosofia
della prassi, Morcelliana, Brescia 1986, p. 11.
- I.
Mancini, Tornino i volti, Marietti,
Genova 1989, pp. 30 e 31. Cfr. anche Id., Tre
follie, Camunia, Milano 1986, pp. 63 e 143.
- I.
Mancini, Frammento su Dio,
Morcelliana, Brescia 2000, p. 56.
- I.
Mancini, Negativismo giuridico,
Quattro Venti, Urbino 1981, p.5.
- Cfr. I.
Mancini, Filosofia della religione,
Marietti, Genova 1986, nella prefazione alla terza edizione, p. 3. Una
bibliografia completa dell’opera manciniana si può trovare in “Hermeneutica”,
1995 (Nuova Serie), pp. 231-267. Per quanto riguarda Bonhoeffer, Mancini ha
avuto il merito – di cui è andato sempre orgoglioso – di farlo conoscere in
Italia (col suo Bonhoeffer,
Vallecchi, Firenze 1969).
- I.
Mancini, Filosofia della religione,
cit., p. 2.
- I.
Mancini, Tornino i volti, cit. p. 32.
- I.
Mancini, Tornino i volti, cit. pp.
33,35.
- Cfr. Frammento su Dio, cit. p. 281.
- Per la Filosofia della prassi, cit., si fa
riferimento alla prefazione, pp. 10-12. L’ethos
dell’Occidente, Marietti, Genova 1990, porta invece una vera e propria
dedica in limine al testo.
Davvero una figura speciale. Incuriosito.
RispondiEliminaSiamo proprio contenti. E’ una grande figura, la cui opera merita di essere letta ed approfondita.
EliminaGrazie del post. Non conoscevo questo pensatore e mi piacerebbe saperne di piu', almeno dai testi. Un consiglio per iniziare?
RispondiEliminaGrazie a Lei per la lettura sempre aperta e sensibile che ci riserva. Direi “Tornino i volti”, un piccolo libro della Marietti che raccoglie molti dei temi cari a questo filosofo. Un caro saluto.
EliminaSono stato uno dei suoi "ultimi" allievi...agli inizi del 1984, per una piccola editrice salentina, ho curato e pubblicato una bella intervista autobiografica a d. Italo, dal titolo "Cristianesimo e culture", che, riletta ora, mi sembra molto attuale...Mi piacerebbe ripubblicarla (ne detengo i diritti...), con un mio saggio introduttivo...
RispondiEliminaChe meraviglia! Pensi i casi della vita: ad Urbino, rovistando tra i libri, abbiamo trovato questo suo “Cristianesimo e culture”. Lo abbiamo comprato. Subito non eravamo sicuri, ma poi abbiamo capito che era proprio Lei. Una coincidenza molto bella. Lo stiamo leggendo. Molto coinvolgente anche la Sua descrizione introduttiva sull’uomo Mancini “un uomo che riesce a conciliare il massimo della disponibilità affettiva col minimo della confidenza, la più aperta freschezza col più fiero riserbo…”. Sarebbe quanto mai opportuna una ripubblicazione. Un caro saluto, Rossana e Gian Maria.
EliminaLui mi "impose" di andare a studiare a Urbino (prima mi occupavo di storia contemporanea); io già insegnavo e avevo una famiglia, ma volentieri mi sottoposi ai continui viaggi a Urbino...E' stato un grande maestro, soprattutto di metodo e serietà...Purtroppo, non potè presenziare alla seduta di laurea, perché già molto provato dalla stanchezza e dalla depressione degli ultimi anni...Ho pubblicato molti anni dopo quel lavoro (è su Leszek Kolakowski, un autore straordinario, che don Italo fece conoscere in Italia), in una postfazione ad un testo di Kolakowski su Henri Bergson, che ho tradotto nel 2005...Ma la mia casa editrice, la Palomar di Bari, è in questi anni fallita...
RispondiEliminaItalo Mancini ha avuto il suo momento di fama negli anni Settanta, sulla scia del '68, a seguito della lettura del tema, da lui discusso, dell'incontro tra marxismo e Cristianesimo. Non era l'unico contributo notevole al dibattito filosofico. Forse il minore! Altri e di ampio spessore i temi della sua ricerca: propedeutici alla condizione esistenziale dell'uomo contemporaneo.
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