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venerdì 10 gennaio 2014

Il gioco della vita.

"L'uomo è completamente uomo solo quando gioca"
F. Schiller 
 Ludendo docere.


Edgar Degas, 
Balletto, La stella.
Riconoscere il ruolo centrale del gioco nel processo formativo e culturale significa dichiarare che lo scopo della cultura non è “fabbricare individui”, ma educare al gioco della vita, ad essere aperti ad un’esistenza per gli altri con gli altri ed a nuove esperienze di relazione con il mondo.
Noi adulti tendiamo a relegare all’età dell’infanzia o ai primordi della civiltà questa forma di esperienza. Eppure il ludus è forma fondamentale di interazione sociale, di condivisione di regole di comportamento, di libera partecipazione ad eventi e rituali che, anche quando hanno carattere fittizio, sviluppano creatività e fantasia, promuovono coesione, sollecitano l’iniziativa.

Edgar Degas, 
Orchestra dell'Opéra
Il gioco, nella sua costitutiva gratuità ed apparente inutilità, ha una sua immediata efficacia liberatrice, può essere anticipazione ed esperimento di un diverso futuro, collaudo di  nuovi stili di vita e di affrancamento. L’esistenza si apre alla gioia liberante, la pratica del gioco nutre la solidarietà ed insegna ad andare contro corrente.
Non faccio riferimento ai giochi che oggi ci sono offerti, ai passatempi propinati  dall’industria del tempo libero, che non bisogna comunque indiscriminatamente demonizzare: mi piacciono i giochi dei bambini, mi piace  vedere un bel film, mi piace la partita di calcio, mi piace il gioco delle carte, mi piace la danza, mi piacciono  tantissimi  altri giochi…

Edgar Degas, Mademoiselle Bécat 
at the Cafè des Ambassadeurs
Ma “il gioco della vita” di cui parla Moltmann è altro, “una grande cosa”: uno stile di vita che si apre all’esistenza per gli altri, che prospetta il passaggio a nuove relazioni di vita non solo nel tempo libero. Passaggio difficile, ma realtà diffusa più di  quanto si pensi ed oggi  forma necessaria di libertà in mezzo al soffocamento delle preoccupazioni quotidiane, alle solitudini, agli abbandoni, alla devastante incomunicabilità.
Mediante il gioco della vita  la libertà si diffonde concretamente: è l’amore che soffre per la sofferenza degli altri,  che  partecipa alla gioia degli altri. Non è solo esistenza per gli altri, ma  è  via che conduce all’esistenza con gli altri: “dare un pane agli affamati di questo mondo ha come fine il mangiare un giorno  il suo pane con  il mondo intero”.
Edgar Degas,  
Russian Dancers.
Per il teologo Moltmann “il gioco della vita” è così fondamentale, tanto  da sentire il bisogno di trascrivere nel  finale della postfazione  del suo “Sul gioco” (2°ed.,1988) il lied  “Cristo Signore della danza”  del cantautore  Sidney Carter, quasi una risposta al grido di Nietzsche “Potrei credere solo in un Dio che sappia danzare”.



2 commenti:

  1. Metafora potentissima : la vita è gioco! Moltmann invita a recuperare il lato giocoso della vita, spesso dimenticato perché ci facciamo dominare dal dolore della vita. Il dolore disgrega, rompe ciò che è relazione ( il dolore è il negativo ) e si riconduce alla forma " seriosa " della vita, incline alla tragedia. Questo, a ben intendere, l'appello di Nietzsche alla volontà di potenza. Non esaltazione dell'imperialismo, ma condivisione della cangiabilita' della vita, del suo fluire ( si badi che Nietzsche conosceva bene la tragedia, di cui aveva parlato nell'opera giovanile!) Nessuna novità se si pensa che già Eraclito aveva parlato del " bambino che gioca a dadi".

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  2. Caro Rosario, mi sembra, più che opportuno, indispensabile in questi tempi bui parlare del gioco come dimensione esistenziale in tutte le età. Il che vuol dire giocarsi, entrare in relazione, accettare il rischio e l’incertezza della gratuità, dell’amicizia, della solidarietà e, come tu dici altrove, della “concordia dialettica”. E così alla mia non tenera età (meno tenera della tua) mi piace giocare: amare mia moglie, i miei cari, gli amici, i profughi che frequento, le persone tutte che incontro, i nemici…; leggere e pensare; riscoprire ogni giorno il sole, il tramonto e la luna calante; vedere all’alba il mare dalla terrazza le colline dietro casa ed i monti lontani appena abbozzati; andare cantando in moto sul mio scooter; gustare il cibo e le bevande; insomma riscoprire ogni giorno per me e per tutti coloro che incontro “ il risvolto luminoso e gioioso della vita che, pure nel suo insieme, è un intreccio inscindibile di gioia e di dolore”. Qualche domenica fa, all’Angelus, ci ricordava papa Francesco di inneggiare alla vita anche in situazione dolorosa nonostante il frastuono di lacrime in cui siamo immersi perché il dolore non è da confondere con la tristizia, di vivere il presente nella sua plenitudine, di amare il mondo nell’unico modo possibile che è quello di prestare attenzione, prendersi cura dell’altro come di sé, uscendo da sé. E’ un gioco nel quale tento di cimentarmi ogni giorno.

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