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giovedì 10 aprile 2014

L'immagine e lo specchio.

Dicono che ogni favola abbia una sua “morale”, 
esplicita od implicita. 
Quella esplicita? Non la conosco. Quella implicita? Se c’è, chi legge la ricavi.

Gian Maria contemplò soddisfatto 
la sua immagine nello specchio ... 
Il suo IO era solido ...

Gian Maria si era preso due ore di permesso, deciso a festeggiare l’aria della primavera girando a zonzo per la città senza una meta stabilita e lasciandosi guidare dalle circostanze. Come d’abitudine, si alzò prestissimo, fece tutto ciò che si deve fare per rendersi presentabile al pubblico ed  in ultimo, prima di uscire,  si contemplò allo specchio, soddisfatto della sua immagine, né bella né brutta, ma solida ed onesta, almeno così la vedeva. Di buon mattino camminava lungo la marina per godere a lungo la meraviglia del sorgere del sole, che a sorpresa nell’alba rosseggiante spuntava dall’orizzonte marino e si librava sul  mare infuocando il cielo, mentre i colori trasecolavano in tenui sfumature, per poi perdersi nell’azzurro splendente.

... camminò lungo il mare ... 
il suo IO era tutt'uno coi colori ... 
... con tutto il creato ...
Ferie o non ferie, era l’appuntamento quotidiano che non cessava di stupirlo ed al quale non intendeva assuefarsi, lui montagnino, immerso nella visione dell’isola, delle barchette sperdute nella bruma delle onde, incantato dal suono cadenzato della risacca che pareva fermare per qualche istante  lo scorrere del tempo. Non era il momento della parola: era il tempo panico delle beatitudini, della lode e del ringraziamento, prima dell’immersione nella frenesia giornaliera. 
  
... l'ALTRO venne a turbare quell'armonia... 
l'ALTRO era quel vecchio silente ...
Passò un’ora: ancora pochi passanti, auto frettolose sull’asfalto, due pescatori sul molo, con le loro canne pazienti in attesa di un insperato bottino; un anziano in panchina a contemplare il mare o forse il suo passato. Per un po’ gli si sedette accanto, senza parole, a ripensare anch’egli i suoi trascorsi. Un ultimo sguardo al vecchio silente ed al mare sommesso e subito, appena raggiunto il viale alberato, il primo impatto: lo straniero,  giovane, scuro di pelle, occhi ardenti e sfuggenti, a tracolla il borsone di cianfrusaglie. “Ciao. Ho fame, hai un euro? ”. “Senti, se vuoi ti offro un caffè ed una brioche, lì al bar; soldi no”. Ma il giovane, sgraziato, era già scomparso.


... l'ALTRO era il solito straniero 
che chiede soldi ...
Bar e caffè andavano popolandosi, secondo codici non scritti: il “baretto” per gli anziani, il caffè dei notabili e quelli con la puzza sotto il naso, il bar preferito dagli stranieri,  il caffè per i frettolosi o i golosi. Il suo codice gli suggerì il bar degli anziani, dove era di casa; salutò i pochi avventori immersi nella lettura del giornale, due battute  con il simpatico gestore, un caffè veloce e via.   Ragazzi e ragazzini, donzelle e donzellette, a frotte, si affrettavano lentamente  verso la scuola, carichi  dei loro non lievi zaini, una puntata rapida in  focacceria,  ciarlieri, zitti, scherzosi,  musoni. Nei pressi delle elementari e della media le vie erano al solito intasate dalle auto dei genitori: baci ed abbracci, i clacson a strombettare, i vigili a sbracciarsi, la campanella che suonava. Poi il ritorno al traffico normale, qualche alunno ritardatario insieme al solito impunito insegnante e la ragazzina, furtiva, che marinava la scuola.

... l'ALTRO era quel mondo di bambini 
dal futuro incerto ...

Più avanti,vicino alla Conad, una signora molto anziana rimestava tra i cassonetti degli scarti. Forse che i gigli - ricordando De André - non possono nascere dal letame?  
 
... l'ALTRO era quella imbarazzante immagine 
della signora che rovistava nel cassonetto ... 
davvero eccessiva ... 
con buona pace di De André...
Bighellonò qua e là, a contemplare le aiuole fiorite, le prime api (o vespe?) ronzanti, la piazza del Popolo semideserta ed il caos intorno. Si fermò davanti alla sede della Caritas, affollata di persone ognuna con il fardello delle proprie miserie e speranze ed incrociò, senza essere visto, il nuovo sindaco, in jeans, lì a parlare o meglio ascoltare alcune donne velate con i loro marmocchi  e ora assentiva ora  rassicurava sempre sorridendo ai bimbi, spandendo fiducia e speranza.

... l'ALTRO era la donna velata ... 
simbolo di una cultura lontanissima ...
Davanti alla chiesa, mentre uscivano le pie donne dalla messa mattutina, stazionava la giovane zingara petulante, mano protesa. Dulcis in  fundo, al posteggio delle auto un attempato signore disabile inutilmente clacsonava, in lacrime, di fronte al posto usurpato dallo sciacallo di turno. Era la primavera in città.

... l'ALTRO era quel  signore disabile ... 
sorta di rimprovero continuo...
Velocissime si appropinquavano le dieci  e Gian Maria affrettò il passo verso il lavoro. Quante persone aveva incrociato, ognuna con la sua storia, la sua solitudine, le sue speranze, i suoi tormenti! Le avrebbe mai riviste?  Che senso aveva  questo casuale incontrarsi? Entrò in ufficio e si recò in bagno per rinfrescarsi. Poi si guardò allo specchio. 

... si guardò allo specchio e rimase esterefatto 
...la sua immagine non era più così solida ... 
non era più UNA ...
... era l'anziano che contempla il suo passato ...
... era tutta l'angoscia, la sofferenza 
che aveva visto ...
... era la gioia dei bambini ...
Esterrefatto, rimase senza parole: nessuna immagine solida ed onesta, ma la vorticosa sfilata dell'irripetibile umanità che quel giorno aveva incrociato: l’anziano silente, i pescatori,  il ragazzo straniero, l’amabile barista ed i suoi lettori, la marea di studenti e studentesse, i  genitori intasati, la ragazzina guardinga, la signora che cercava gigli, il sindaco tra la gente con i marmocchi, le pie donne, la zingara, il signore piangente … Scosse ripetutamente il capo, sbatté le palpebre per cacciar via la visione allucinatoria. Davvero quei fugaci incroci non avevano lasciato segni? E solo gli venne  da pensare che  domani sarebbe stato un altro giorno.


... era l'IO nell'ALTRO ...
... era l'ALTRO nell'IO.
  
C’è una morale? Forse sì, forse no. Chi lo sa! 
Ad ognuno di noi trovarla…


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2 commenti:

  1. A mio avviso,il protagonista di questa passeggiata, Gian Maria, nella sua descrizione, appare un uomo di sani principi, equilibrato, certo non egocentrico per il suo specchiarsi. Quotidianamente, il mattino, passeggia lungo il litorale per assaporare il perpetuarsi del sorgere del sole. "E' certamente un romantico, un sognatore" "Ma anche uomo sicuro di se" Nel suo andare a spasso, s'avvede che il litorale si popola. Sulla panchina giungono dei pescatori. Lungo il viale un giovane gli si avvicina:" Ho fame, hai un euro?" Gian Maria, temendo che costui possa spendere altrimenti il denaro, lo invita al Bar. Il giovane, contrariato, per tutta risposta se ne va. Il nostro attore s'avvia verso il bar degli anziani dove degusta un caffè. "Rifugge quello dei Vip." Se si rispecchiasse ora, la sua immagine non risulterebbe distorta. Proseguendo ha visione di un formicolare di alunni, studenti e genitori che s'avviano verso la scuola. Nota l'imbarazzante figura di una donna frugare in un cassonetto, gente nei pressi della Caritas, poi una zingara, infine un disabile che oltre il suo fardello, si vede impedito a parcheggiare nel posto a lui riservato. "Un sopruso" Si fanno le dieci, è l'ora di avviarsi al lavoro. Gian Maria prende consapevolezza del disagio, della povertà, della disabilità di tante persone. "Eppure c'erano anche gli altri giorni!" Solo ora si rende conto di vivere in un mondo sterile, in una Società dove ciascuno pensa solo a se stesso. Capisce che solo con la solidarietà, la condivisione di opinioni, sentimenti e l'interazione di una Comunità, ove ognuno agisce per il bene dell'altro, si può avere tutti, una migliore qualità di vita. Al rientro in casa vede la propria immagine distorta. Quanti, vista la propria immagine traviata si attiveranno per modificarla? Un abbraccio. Franco.

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  2. Caro Franco, mi piace davvero la spiegazione che offri della “favola”: dopo giorni o mesi o anni (ognuno ha i suoi parametri di misurazione del tempo) passati a vivere senza laceranti consapevolezze, arriva “il” giorno in cui, guardandoci dentro (lo specchio), al di là della propria immagine distorta si disvela all’improvviso la realtà che pure era sempre stata sotto i nostri occhi, ma che non vedevamo; emerge l’acuta consapevolezza della responsabilità di ognuno verso gli altri. E giunge così per ognuno il momento dell’esercizio della propria libertà: si può scegliere di vedere “il disagio, la povertà, la disabilità”e di capire che la strada non può che essere quella della “solidarietà” e della “’’interazione di una Comunità”; oppure si può continuare a rifiutare di vedere e di sentire, scegliere di ricadere nell’oblio, rimuovendo tutto ciò che disturba la nostra quieta ipocrisia.. Sì, caro Franco, mi pare che questa tua interpretazione sia particolarmente illuminante. Grazie.

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