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venerdì 29 novembre 2013

Il rifiuto e/o l'accoglienza degli sguardi.


  « L'arte non riproduce ciò che è visibile, 
ma rende visibile ciò che non sempre lo è. » (Paul Klee)


... gioco di sguardi...

Lo sguardo è soprattutto apertura  agli altri. Ogni persona con lo sguardo esce da sé, può  prendere in sé l’altro o rifiutarlo; può assumerne anche solo per un momento  gioie e dolori,  aprirsi  all’"ottica" del dono che è essenzialmente l’"ottica" dell’amore oppure rifiutarsi; può partecipare  alla costruzione della "comunità" o  limitarsi alla  "collettività". 


Polifonia: la comunità non è la semplice collettività.


Con gli occhi noi comunichiamo un  linguaggio di contenuti e di relazioni. Lo sguardo non è mai neutrale: qui veramente  vale l’assioma che è impossibile  non comunicare e che  non comunicare vuol dire semplicemente  comunicare di non voler comunicare. 


Molte vie possono unirci o separarci dagli altri

Succede quando a scuola sistematicamente ignoro un mio alunno o quando per strada evito gli occhi dell’altro e faccio finta di non veder il poveraccio che mi importuna per l’elemosina o nello scompartimento del treno pieno di persone il mio sguardo vaga dappertutto ma non sui volti degli altri o nell’ascensore all’ospedale il mio occhio si posa insistentemente sui pulsanti per non incontrare gli altri.

Per alcuni addirittura - e questo vale anche  per me in determinate circostanze – è insopportabile sostenere lo sguardo di chi ti è alle spalle: non si riesce  a lavorare con qualcuno dietro, perché  chi,  in qualche modo, mi osserva, in qualche modo mi affronta ed entra nel mio campo d’azione, come promessa o minaccia.

... lo sguardo insopportabile ...
C’è una particolare luminosità e limpidezza dello sguardo che io vorrei tener sempre presente: il rispetto come possibilità di vedere di più. Senza il rispetto si vede di meno, perché la mancanza di tale sentimento - intrisa com'è  di  egocentrismo e stolida mediocrità - finisce per oscurare gran parte di ciò che si offre a noi. Credo che lo sguardo  riguardoso in questi tempi di privazione, in  cui  la mancanza  di rispetto è divenuta norma  di tutti i giorni e connotato dominante nelle relazioni sociali, sia gesto ed atteggiamento singolare. Anche per questo  mi piace  il garbo empatico che scorre tra il  mio  e l'altrui vissuto. 
Il garbo ...

Dobbiamo scegliere nell’incontro con le persone tra  lo sguardo imperativo o captativo o seduttivo oppure oblativo, quello appunto del rispetto e del garbo. Se gli  occhi sono specchio dell’anima,  il mio sguardo verso gli  altri  dovrebbe  essere sempre aperto al loro cuore. Le difese nel  faccia a faccia (vis à vis, face to face) cedono e le maschere che solitamente portiamo possono sfilacciarsi e far intravedere il vero volto di ciascuno.   


Il vero volto dietro la maschera ...

E’ il fascino tutto speciale dello sguardo: mai neutrale, specchio per mandare un’immagine di accoglienza, di fraternità, di condivisione, accompagnata da un sorriso e da una  metacomunicazione. 
E anche la rottura e lo strappo possono far  parte di un gesto ospitale e non ostile se la persona   prende possesso di sé e del suo orizzonte, se si rifiuta di sommergere  se stesso nell’anonimato o nell’apparenza estatica. Anche il no può essere parte della personalizzazione, come frutto di una scelta fatta con tutta la totalità del proprio essere, premessa di un dialogo autentico.


La rottura, lo strappo ...
... può anche essere premessa di un dialogo autentico ...
Per strada quando incrocio il mio sguardo con quello di amici, conoscenti, sconosciuti, mi sforzo di  tenere sempre  presente che  “non possiamo aspettarci di raccogliere i fiori che non abbiamo mai piantato”  (Vaclav Havel).


L'intensità, il calore di uno sguardo ....
Tutte le immagini riproducono opere di Paul Klee.

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