Siamo nei giorni in cui
si sta decidendo per l’intervento armato in Siria. Le immagini che ci
propinano internet ed i vari canali
televisivi suscitano forti emozioni:
paura, rabbia, pietà. Ma queste reazioni rischiano di essere tanto immediate
quanto effimere (tutto passa), se la nostra coscienza e la nostra ragione non
vengono interpellate. Spostarci dal piano della immediatezza al piano della
riflessione: questo è il senso degli interrogativi qui di seguito proposti e dei prossimi
successivi post e citazioni.
Concordiamo tutti nel
considerare la guerra un muro di
disperazione ed una catastrofe totale,
sempre sproporzionata rispetto a qualsiasi possibile causa. Ma non
dimentichiamo che si può essere complici
della guerra in tanti modi: per
lucida e cinica scelta, per imprudenza,
per astensione. In un mondo dove alcuni
vogliono la guerra o alcuni non
escludono di ricorrervi, dove il rischio si trova ovunque sia nell’avvilimento
collettivo del silenzio e dell’inazione sia
nella potenziale spirale di una guerra
totale con sterminio di masse, ogni
opzione appare tragica e
ridotta in tenebrosi vicoli ciechi.
Esiste una guerra
giusta?
E’ possibile
detronizzare un potere armato senza far uso delle armi?
Ha senso il paventato
intervento armato da parte degli USA per
fini cosiddetti umanitari? E’ veramente
una legittima difesa dell’umanità martoriata,
una risposta disinteressata ad una situazione di ingiustizie e violenze
insopportabili? E’ proporzionale all’azione siriana, misurata al male commesso
ed alle violenze subite dalle vittime? Non
rischia a sua volta di essere violenza sfrenata, incontrollata ed incontrollabile?
E più in generale una guerra ritenuta “giusta” non finisce per asseverare la giustizia di
ogni guerra, a causa di un inevitabile “effetto scivolamento”, per cui l’eccezionale diventa la regola,
nella pura logica dell’imperialismo
delle guerre preventive?
Il diritto, che dovrebbe operare quale filtro di tutela,
è ancora uno strumento di controllo sufficiente?
E cosa dire
dell’inefficienza dello strumento
diplomatico internazionale ? O della sempre minore credibilità della deterrenza
nucleare?
La pace allora si deve affidare al caso e
lasciare che la guerra diventi una fatalità?
Nessuno di noi, il sottoscritto
per primo, ha in proposito anche una sola certezza apodittica. Qui non ci sono
dogmi, principi assoluti; certamente invece
opzioni, scelte di coscienza coerenti con le proprie scelte di vita; e un pullulare di interrogativi. Il tutto stravolto, complicato, offuscato dall’impossibilità di informazioni
indubitabili e non manipolate circa
l’uso dei gas da una parte o dall’altra, dall’impossibilità di penetrare i
teatri di guerra, dall’innalzamento di muri tra oriente ed occidente, tra
nord e sud, tra mondo del dominio e dei
dominati, da nuovi e antichi squilibri
nazionali ed internazionali, dal verminaio
di interessi noti ed ignoti, contrastanti e antagonistici, che sono il volto
trionfante della logica capitalistica, dalla violenza-spettacolo dei media e dell’informazione.
Le radici di questi
interrogativi risalgono alle origini
della nostra stessa civiltà e della riflessione sul diritto: prima la teoria
greca del “dikaios polemos” e quella
romana del “iustum piumque bellum”; poi,
senza grandi sussulti, le legittimazioni dal
Decretum Gratiani a Gentili e Grozio, con l’eccezione di tanti illustri pensatori, da Erasmo a Bobbio
al nostro Cassola, ed il loro
inappellabile rifiuto teorico…
Esiste una guerra giusta? |
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