Cavour nel 1860 dichiarava senza mezzi termini che non si lasciava “intimidire dalla violenza
dei partiti”, perché “figlio della libertà”. Non so come oggi reagirebbero, in
un mondo dove si dice tutto ed il
contrario di tutto e si vive
tranquillamente la convertibilità degli opposti, coloro che ormai sono assuefatti a considerare
una consistente parte del Parlamento proprietà privata di un burattinaio,
che sballotta e mette o dimette-toglie a piacimento
sul palcoscenico della politica il coacervo delle sue marionette, tutte
ovviamente programmate ad inneggiare a
quella “libertà” che Cavour avrebbe definito
servitù. E sfido chiunque a tacciare Cavour come “comunista”.
“Da parte mia, non ho alcuna fiducia nella
dittatura e soprattutto nelle dittature civili. Io credo che con un parlamento
si possano fare parecchie cose che sarebbero impossibili per un potere
assoluto. Un’esperienza di tredici anni m’ha convinto che un ministero onesto
ed energico, che non abbia nulla da temere dalle rivelazioni della tribuna e
non si lasci intimidire dalla violenza dei partiti, ha tutto da guadagnare
dalle lotte parlamentari. Io non mi sono mai sentito debole se non quando le
camere erano chiuse. D’altra parte non potrei tradire la mia origine, rinnegare
i principi di tutta la mia vita. Sono figlio della libertà: è ad essa che debbo tutto quel che sono. Se bisognasse mettere un velo sulla sua
statua, non sarei io a farlo. Se si dovesse riuscire a persuadere gli italiani
che hanno bisogno di un dittatore, essi sceglierebbero Garibaldi e non me. Ed
avrebbero ragione. La via parlamentare è
più lunga, ma è più sicura.”
(Camillo Benso di
Cavour, da lettera del 29 dicembre 1860, in Denis
Mack Smith, Il Risorgimento italiano,
Bari, Laterza).
Remigio Schmitzer, 1939 |
Un articolo che, a mio parere, non potrebbe comunicare cose più vere. L'unico difetto è che il parlamento è fatto di uomini, e gli uomini sono facilmente corruttibili. Ciò di cui necessitiamo è la tanto ventilata legge sui 2 mandati, in modo che certi "dittatoruncoli" non riescano ad acquisire un elevato potere. Ma quello che non capisco è come si possa guardare solo ai propri interessi (entro il giardino di casa propria) quando il proprio paese crolla. Un paese bellissimo, con potenzialità enormi(si veda il turismo, marittimo e culturale, l'agricoltura, e,da non dimenticare, l'ingegnosità del nostro popolo, che è stata sempre ammirata da tutto il mondo).
RispondiEliminaE’ così. Siamo ad un bivio: o tutti apriamo gli occhi e ci rendiamo consapevoli dei disastri imminenti oppure ci rimane il destino di Sodoma e Gomorra (distrutte da Dio perché in esse non si trovavano neppure pochi giusti). Il problema delle regole, che lei pone, è fondamentale in questo momento di “emergenza etica”, perché solo regole chiare (es. il doppio mandato da lei citato) possono supplire la mancante correttezza dei comportamenti. Certo però va rifondata una cosienza morale che ponga chiaro il tema del rapporto tra etica e polica perché le regole da sole non bastano se non sono vissute in modo convinto. E questo rinnovamento va costruito dal basso. Non basta gridare e stracciarsi le vesti, se poi i piccoli o grandi “interessi” di ognuno di noi – e non parlo solo di quelli platealmente miserabili - prevalgono sul bene comune. E’ quanto facciamo quando ogni giorno gridiamo una cosa e nelle nostre scelte e comportamenti quotidiani facciamo l’opposto (es. le ricevute fiscali…). Ma il suo commento chiude e si apre alla speranza: questa è la categoria principe dei giovani di oggi ed insieme la forza che sostiene noi più anziani.
RispondiElimina