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martedì 3 settembre 2013

Smascherare il falso pacifisimo.




Posted by Picasa


“La menzogna, la durezza di cuore, la vigliaccheria, l’egoismo fanno silenziosamente ogni giorno sotto i nostri occhi vittime altrettanto numerose e più lentamente torturate di quanto non sappia fare la guerra: chi ha bisogno che sia il cannone ad aprirgli le orecchie non comprende più da lungo tempo questo tumulto dei tempi di pace”

(E. Mounier)

 

In questi giorni di confuso disorientamento  e di notizie contraddittorie circa il possibile intervento armato americano in Siria, non ci rimane che  la parola contro il silenzio, il dovere di non tacere contro la ridondanza frastornante,  contro l’improvvisazione dei tanti presunti maestri e nuovi sofisti, contro  lo smarrimento prodotto dai media e dai mercanti di notizie, contro la guerra come puro spettacolo televisivo.

Ma la parola deve esprimersi in  un linguaggio chiaro e pulito, oltre ogni  confusione concettuale, oltre ogni possibile equivoco. Prendiamo le  parole-chiave pace e pacifismo: che cosa significano?  Che cosa vuol dire  pace? Quella  eterna,  dei cimiteri, della notte, del cuore?  Eppure in tutte le lingue c’è un’esperienza comune, un denominatore comune molto vicino allo shalom  ebraico: pace come integrità, santità, armonia, stato di compiutezza e di perfezione. Non è un concetto negativo (assenza di guerra e di bagni di sangue), ma positivo, riempito dalla presenza di  qualcosa.  Di cosa?

Smascheriamo allora il falso pacifismo, quello “della domenica pomeriggio”, quello che non costa niente perché non impegna niente,  proiezione della propria piccineria individualista e della propria indifferenza; pacifismo di coloro che,  ben  assestati  nella  loro mediocrità e  prudente sicurezza, dicono di odiare la guerra ma accettano impunemente  quotidiani antagonismi e conflittualità, nel tumulto delle proprie rivendicazioni esclusive; coloro che  ogni giorno si voltano dall’altra parte per rimuovere dalla vista  gli  schiacciati, gli emarginati, gli  immigrati che continuano ad approdare sulle  spiagge di un paese, il nostro, dove la stampa non fa che istillare odio, i media rincitrulliscono e il tutto   rischia di diventare un male equivalente al male della guerra.  La  pietà generica contro la brutalità della guerra è in realtà  piuttosto  compianto per la   tranquillità minacciata e  confessione della propria cronica insensibilità.

Il pacifismo, vero ed autentico,  non è sinonimo di tranquillità e di debolezza, ma di fortezza e di inquietudine; non è un ripiego,  ma ricerca  di segni nuovi;  richiede precise precondizioni e non si nasconde l’aspra durezza  delle cause della  guerra, dei meccanismi di potere, delle regole di funzionamento delle istituzioni; è  prevenzione della guerra, impegno politico,  nella più vasta accezione del termine, ad  anticipare la guerra, perché a conflitto scoppiato non resta che piangere e seppellire i morti.  È un pacifismo istituzionale, fondato sulla tutela dei diritti dell’uomo e dei popoli,  sulla democrazia internazionale. Non basta invocare la pace come  ideale astratto: occorre lavorare perché si compia qui ed altrove nel mondo e bisogna fare in fretta,  perché altrimenti gli innocenti muoiono  e rimane solo il dolore.

 Ci ricordava in questi giorni  papa Francesco che la prima sfida per la pace è l’indifferenza per l’altro:  l’altro è il banco di prova della pace. “La pace che noi dobbiamo volere è la pace che porta con sé la giustizia nazionale ed internazionale e questa giustizia non la troviamo bella e fatta: è tutta da fare. Chi custodisce nel suo privato la tranquillità non è uomo di pace, perché non sceglie, vive nell’irresponsabilità nei confronti del mondo che invece è affidato alla nostre mani. Non abbiamo il diritto di essere pacifici: abbiamo il dovere di essere facitori di pace” (E. Balducci).

 

 

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